La violenza contro le donne è un crimine e come tale va affrontato. Senza scuse o inaccettabili moventi giustificatori, sotto ogni declinazione, quotidianamente e non solo ogni volta che c’è una disgrazia della dimensione di quella che oggi vede una giovane e meravigliosa collega avvocata non più con noi.

Purtroppo non possiamo riscrivere il passato per le vittime ma, come faceva anche Martina Scialdone - la giovane collega vittima del suo ex compagno nella notte di venerdì a Roma – dobbiamo combattere questo fenomeno definendolo nel modo giusto. Solo in questo modo lo affronteremo di conseguenza.

Affinché vi sia una effettiva prevenzione, l’approccio a questo tipo di crimine deve essere sistemico. Con ciò intendo dire che va isolato e studiato sin dall’università come materia specifica, perché le implicazioni che coinvolge vanno dalla componente psicologica alla sociologia fino poi al diritto, sia sotto il profilo civile che penale che minorile.

Il profilo operativo

Sotto il profilo operativo, la normativa italiana è all’avanguardia ma in concreto occorre fare un passo in più: è necessario anticipare i costi della violenza, elevatissimi, dalla fase repressiva a quella preventiva.

Il danno derivante dai crimini contro le donne è incalcolabile perchè tocca il bene più prezioso della vita, ma generano anche danni indiretti, altrettanto ingenti: quelli sanitari, psicologici, per i minori, per la società tutta.

Le leggi sono migliorate anche di recente, con l’introduzione di nuovi reati ed l’aumento significativo delle pene. Il cosiddetto “Codice Rosso” introdotto nel 2019 costituisce, senza dubbio alcuno, un concreto passo in avanti nella lotta contro la violenza di genere ed è stato un significativo intervento per imporre una tempestiva valutazione delle denunce querele. L’approvazione di una normativa specifica con riferimento ad alcuni reati che affliggono, in particolare, una dimensione domestica e comunque connessi al genere si è resa necessaria per l’intensificarsi di casi sempre più frequenti e con vari livelli di danno: dalla violenza domestica ai maltrattamenti, fino ad arrivare ai femminicidi.

Prioritario, tuttavia, è che le vittime (o chi può) presentino una denuncia, circostanza tutt’altro che scontata se pensiamo che solo il 12 per cento delle donne uccise tra il 2018 ed il 2020 aveva denunciato una violenza.

In quest’ottica il ruolo dell’avvocato assume fondamentale importanza, nel farsi da mediatore per esporre in modo organico i fatti rappresentati dalla vittima e a metterli in correlazione tra loro, ordinati a livello temporale. A differenza di quanto avveniva in passato, infatti, la nuova normativa prevede che, una volta presentata la querela, ci sia immediatamente un’informativa trasmessa al pubblico ministero da parte della polizia giudiziaria che la riceve e la precisione nell’esposizione dei fatti diventa determinante nel facilitare l’agire in tutela della vittima.

Per questo le norme penali hanno bisogno di un sistema efficiente di prevenzione, che assicuri un intervento tempestivo, un allineamento tra il diritto civile ed il penale, risorse che consentano e garantiscano provvedimenti in materia di diritto di famiglia ad horas, perché le evoluzioni e le involuzioni dei rapporti sono repentine e la cadenza temporale della vita non può attendere mesi e mesi, per la carenza di organico e la mole di lavoro che ad oggi gli uffici giudiziari hanno.

la prevenzione

Per farlo, il primo salto di chi amministra la giustizia e legifera deve essere logico, invertendo i termini: dal risarcimento del danno ex post alla prevenzione ex ante, con salvezza di vite e notevole riduzione dei danni.

La repressione è questione che rileva come effetto deterrente ed è già massima, come ha dimostrato anche in questo caso l’immediato arresto dell’autore dell’omicidio da parte della procura di Roma e delle forze dell’ordine. Tuttavia è evidentemente una risposta insufficiente, perchè non risolve la perdita della vita della donna.

Bisogna quindi agire ex ante, mettendo a fuoco il punto nodale: il femminicidio è un crimine che nasce nelle falle di un rapporto personale tra due persone. Ogni caso è una storia a sé, ma tutti hanno un unico comune denominatore: non importano le circostanze che lo hanno cagionato, si tratta di un reato e tra i più aberranti.

L’autore dei reati contro le donne non è un folle, non è un pazzo, il suo atto non è conseguenza del raptus o di gelosia ma la sua è una condotta criminosa, caratterizzata dalla volontà di uccidere la donna per il sol fatto di essere donna.

Se è vero che nessun reato e soprattutto nessun omicidio ha un movente accettabile, il movente dei femminicidi, ma anche delle violenze sessuali, fisiche e psicologiche, dei maltrattamenti, delle lesioni contro una donna, della violenza assistita nei confronti dei minori è ancora meno accettabile.

Il femminicidio avviene in contesti in cui, nell’evolversi del rapporto, la vittima è portata ad affidarsi naturalmente a quello che diventa poi il suo omicida e non ha mai, e dico mai, alcuna causa scatenante da parte della donna.

L’esperienza italiana della Commissione d’inchiesta del Senato sui Femminicidi, Presieduta dalla senatrice Valeria Valente è stata proficua nella sua mappazione del fenomeno, perchè ha aiutato a comprenderlo ed è uno studio da portare avanti, avvalendosi dell’esperienza qualificata di esperti, che la materia richiede necessariamente. 

E’ per questo che nell’ambito della formazione continua dell’Associazione Donne Giuriste Italia, a cura della Sezione di Roma presieduta dall’avvocato Marina Marino domani avrà luogo un convegno su questo tema. Che, alla luce del recente dramma, dedicheremo alla collega Martina Scialdone nel cui nome uniremo impegno e determinazione per raggiungere l’obiettivo zero femmincidi.

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