La tornata elettorale americana, oltre a eleggere un nuovo presidente e a rinnovare parte del Congresso, ha permesso ai cittadini di votare su tematiche locali grazie ai tantissimi referendum proposti. Tre in particolare sono degni di nota: in Florida si decideva se aumentare il salario minimo a 15 dollari; in Colorado se consentire, per legge, il congedo di maternità (gli Stati Uniti sono l’unico paese occidentale a non concederlo); in California sulla proposta sostenuta da Uber e Lyft di non considerare i lavoratori della gig economy come impiegati subordinati ma semplicemente come contractor indipendenti.

Tutte e tre le mozioni sono passate. La conservatrice Florida ha votato a favore di una misura apertamente “progressista”; il Colorado, “purple state” per eccellenza – progressista in termini di cultura politica ma economicamente conservatore e tradizionalmente anti stato – ha introdotto una misura di welfare; e gli elettori della liberal California si sono di fatto schierati con le grandi corporation negando il riconoscimento di diritti economici e sociali ai lavoratori.

Questi risultati vanno letti nell’ottica di trend politici che si stanno consolidando a livello nazionale. In generale il paese sembra muoversi in senso progressista, come hanno confermato diversi sondaggi di Fox News nella giornata elettorale. Spesso però le posizioni non sono omogenee. Secondo Lee Drutman, senior fellow alla Fondazione New America, esiste una fascia piuttosto consistente di elettori – soprattutto tra gli indipendenti – che sono culturalmente conservatori ma economicamente progressisti. Ed è anche a questi elettori che si rivolge il Partito repubblicano che, nella retorica più che nei fatti, sembra pronto ad abbandonare il tradizionale conservatorismo in favore del populismo.

La working class

In effetti i repubblicani hanno vinto in alcuni degli stati più poveri del paese e, seppure l’elettore medio del Gop continui a essere più benestante di quello democratico, le preoccupazioni legate a economia e lavoro sono state le principali motivazioni di chi ha votato Trump. Questo dato ci aiuta a spiegare come mai, nella Rust Belt, il cuore post industriale dell’America, il populismo economico di Trump, sconfitto sul filo di lana, abbia nuovamente avuto un seguito molto forte tra gli elettori conquistando, ad esempio, la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati dell’Ohio. Josh Hawley, senatore del Missouri, è arrivato a dichiarare che il futuro dei repubblicani è divenire il partito della working class.

Quello del lavoro e della crisi economica è un tema che, dopo lo shock di quattro anni fa, il Partito democratico ancora fatica ad articolare coerentemente, sempre attratto dal mito della rincorsa al centro. Da una parte è importante notare che negli ultimi anni la cosiddetta economic anxiety abbia portato all’elezione a livello locale di candidati dichiaratamente socialisti in stati tradizionalmente conservatori come Montana, Tennessee o North Dakota. Dall’altra i risultati in California indicano l’esistenza di un elettorato culturalmente progressista, ma restio a misure economiche che potrebbero impattare il proprio stile di vita.

Curiosamente, in questo caso la linea ufficiale del Partito democratico – che ha legiferato in favore dei lavoratori e si è opposto, seppur blandamente, al referendum – risulta più progressista di quella di parte del suo elettorato. Va detto che la situazione è quantomeno confusa. Le corporation si sono fatte direttamente soggetti politici spendendo 205 milioni di dollari nella campagna referendaria, dieci volte di più di quanto raccolto da chi si opponeva. Eppure a San Francisco è passata una proposta locale per imporre una tassa aggiuntiva alle compagnie nelle quali i guadagni degli amministratori delegati sono 100 volte superiori a quelli di un impiegato medio.

La crisi e l’impatto della pandemia, ma più in generale il funzionamento del sistema economico sembrano dunque fattori importanti nel formare le preferenze degli elettori. Fenomeni economici come il parziale impoverimento della classe media, la perdita di status sociale, e l’insicurezza del lavoro, uniti a fattori culturali e identitari contribuiscono a generare una area grigia piuttosto estesa a metà tra i due schieramenti più ideologicamente omogenei.

La conquista di questa fascia, non necessariamente centrista, non necessariamente moderata in senso classico, dovrà portare giocoforza a una rimodulazione dell’offerta politica e sarà una delle chiavi di lettura degli anni a venire.

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