Può un grande paese, o un insieme di nazioni, risolvere un problema globale come quello della crisi climatica?

Se l’Europa riduce le emissioni e gli altri no la temperatura del pianeta continuerà a crescere allo stesso ritmo, dicono in tanti.

Anzi, l’economia europea perderà competitività nel commercio internazionale lasciando spazio a quei paesi che non regolano le emissioni di gas serra secondo gli accordi di Parigi.

Come usare il commercio

Il commercio internazionale offre l’opportunità, per quanto complessa, di allineare l’ambizione climatica internazionale.

L’argomento, introdotto a livello accademico dal premio Nobel in economia William Nordhaus, ha un nome: Cbam, il Carbon Border Adjustment Mechanism (Meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera) proposto dalla Commissione europea nel 2021, che parlamento e Consiglio prevedono di rendere esecutivo da ottobre 2023 per un periodo pre-operativo iniziale di tre anni.

Si tratta di imporre tariffe doganali a prodotti importati derivanti da industrie energivore (inizialmente ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, cemento e energia elettrica) proporzionalmente alla intensità di carbonio dei prodotti stessi e alla distanza con l’intensità di carbonio dei prodotti europei, ove sono in vigore politiche climatiche rigorose e un mercato che determina il prezzo della tonnellata di emissioni di CO2.

L’Europa ha costi di produzione più alti a causa del rispetto di impegni internazionali che altri non rispettano o rispettano meno, e quindi per proteggere le imprese europee si impongono dei dazi calibrati sull’impegno dei paesi che esportano in Europa ad allinearsi agli impegni di riduzione delle emissioni, cercando quindi di generare un effetto virtuoso internazionale di adeguamento.

Non è in realtà così semplice. C’è il timore di paesi meno sviluppati che per ragioni economiche e di sviluppo tecnologico sono tuttora incapaci di intraprendere la strada della riduzione delle loro emissioni e che dipendono dal commercio internazionale.

In realtà, il Cbam europeo prevede anche attività di cooperazione con i paesi meno sviluppati, essendo prevalentemente diretto verso le economie in forte crescita.

Ma per evitare guerre commerciali, il coordinamento internazionale con l’Organizzazione mondiale del commercio è necessario, come anche la graduale riduzione dei permessi gratuiti di emissioni alle industrie energivore.

Al Cbam europeo, gli Stati Uniti hanno risposto con l’Inflation Reduction Act (Ira) proposto dal Presidente Biden che ha trovato una maggioranza trasversale.

Questo provvedimento offre circa 370 miliardi di dollari di sussidi per lo sviluppo dell’economia “verde”, ponendo però numerose condizioni che i partner commerciali – Unione europea in testa, che a parziale risposta ha rilassato le regole di aiuti di stato alle imprese – hanno criticato come protezioniste, quali la possibilità di accedere ai sussidi soltanto per produzioni sul suolo degli Stati Uniti.

L’Ira si pone nella scia di provvedimenti per rispettare gli accordi di Parigi sulla riduzione globale delle emissioni climalteranti. Ma, a differenza del modello europeo, usa sussidi e appalti pubblici “verdi” per favorire l’industria nazionale.

Il lato Ue

Proprio in questi giorni tra Usa e Ue si è avviato un negoziato per esentare le imprese europee dal rispetto delle clausole di produzione domestica dell’Ira per quanto riguarda i materiali critici necessari per la produzione di batterie per auto elettriche, tema cruciale per poter far conto sulla certezza di una delle catene di fornitura più strategiche per lo sviluppo industriale futuro e non dipendere eccessivamente da paesi meno sicuri.

La Commissione ha anche anticipato un proprio piano industriale (il Net-Zero Industry Act) e allentato le restrizioni sugli aiuti di stato alle tecnologie verdi per aiutare le industrie europee a competere in quella che è diventata una vera e propria gara tecnologica.

Il prossimo G7, a maggio, in Giappone può essere il luogo più adatto per rafforzare una alleanza dei paesi membri, che rappresentano circa un terzo dell’economia mondiale, per combinare le politiche climatiche e quelle commerciali, con l’obiettivo di promuovere globalmente la decarbonizzazione e rendere più sicure e affidabili le catene di fornitura.

L’Italia deve arrivare preparata all’appuntamento, anche in vista della presidenza G7 del 2024. Non può farlo senza giocare un ruolo primario e costruttivo nelle politiche climatiche in discussione al parlamento europeo. Che per ora è mancato.

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