Il Dpcm del 3 dicembre scorso, che aveva già disciplinato le vacanze di Natale, è stato superato dal decreto legge appena varato, che dispone restrizioni più severe. Era difficile fare peggio dei mesi scorsi, con quattro Dpcm in quattri settimane, tra obblighi, divieti e forti raccomandazioni prima sanciti e poi continuamente modificati. Invece, è accaduto con quest’ultimo decreto, che cambia le regole all’ultimo momento.

L’Italia sarà zona rossa dal 24 al 27 dicembre e poi dal 31 dicembre al 3 gennaio. Negli altri giorni sarà zona arancione, ma con sfumature diverse, con alcune concessioni per gli spostamenti. Insomma, i colori funzioneranno “a intermittenza”, come le lucine sull’albero di Natale. Ma non è solo questo il punto.

Le giravolte dei Dpcm

Abbiamo seguito l’evoluzione della “seconda ondata” attraverso ogni decreto, commentandone criteri e disposizioni. Abbiamo anche apprezzato il tentativo del Dpcm del 4 novembre di disporre restrizioni proporzionate alle diverse fasce di rischio in base a parametri prefissati, in modo da non lasciare spazio alla discrezionalità politica in tema di salute, salvo poi riscontrare che quei criteri non erano così “oggettivi”, univoci e precisi com’erano stati vantati. Abbiamo rilevato l’errore di lasciare alle Regioni margine per sviare dalla gestione unitaria della pandemia.

Siamo arrivati al Dpcm del 3 dicembre, che privilegiava l’economia fino a Natale e la salute nel periodo delle feste - con limiti agli spostamenti tra Regioni, e pure tra Comuni - e abbiamo evidenziato la confusione di quest’alternanza di interessi prevalenti. Poi si è fatto anche peggio, con le zone “a intermittenza” dell’ultimo decreto, come detto. Siamo rimasti perplessi per il tempismo del governo nel varare un sistema di premi per spese con moneta elettronica – cashback e lotteria degli scontrini - ma solo nei negozi fisici, nel momento dell’anno in cui è più probabile siano presi d’assalto: non proprio una logica ferrea, se si vuole evitare la calca.

Cos’è successo dopo il 3 dicembre

La situazione non è cambiata, di certo non è peggiorata, rispetto all’ultimo Dpcm: quasi tutta Italia è diventata zona gialla. Eppure il Governo, pochi giorni prima di Natale, dispone una ulteriore stretta. Perché? Per emulare Angela Merkel? Pare un’ipotesi assurda, anche se – a dire il vero - esponenti della maggioranza continuano a giustificarsi citando ciò che si fa in altri Paesi, senza nemmeno confrontare le misure disposte altrove.

O forse le cose non vanno così bene come sembrerebbe, a dispetto dei dati resi pubblici che dimostrano l’opposto? Allora servirebbe un lockdown immediato, senza aspettare il 24 dicembre. Oppure si chiude durante le vacanze perché si vuol essere certi che il 7 gennaio la scuola riprenda in presenza? Perché inizieranno le vaccinazioni? Perché un lockdown nelle feste è meno dannoso per l’economia che in altri momenti? Nulla che già non si sapesse quand’è stato emanato il Dpcm precedente.

E allora, visto che dal 3 dicembre non è cambiato niente, il rispetto della fiducia dei cittadini nella certezza del diritto imponeva che ci si attenesse alle regole già dettate per Natale, anziché creare più disorientamento di quanto già ce ne fosse. Anche perché disporre limiti e restrizioni, senza spiegarne la proporzionalità rispetto alla situazione di pericolo in atto, ma motivandoli con la mera precauzione, è al di fuori di qualunque principio dell’ordinamento.

Per “il bene del Paese” si può decidere qualsiasi cosa, ma cambiare continuamente idea e decreti crea solo un clima esasperante. Le persone si erano organizzate, alcune avevano pure sostenuto esborsi finanziari, fidandosi del Dpcm del 3 dicembre.

È poco serio creare un affidamento nelle regole adottate, e poi disattenderle come se nulla fosse, ma soprattutto senza fornire evidenza che vengono modificate perché gli indicatori di rischio sono mutati. Come già rilevato, le disposizioni di cui si fatica a capire il senso sono anche quelle che si fa più fatica a rispettare.

Esponenti del governo continuano a dire che quanto fatto finora ha funzionato, ma sanciscono restrizioni come se fosse l’opposto.

La gente si sente presa in giro, e ciò alimenta la sfiducia collettiva verso di chi esercita il potere. E la sfiducia è l’ultima cosa di cui c’è bisogno. Ma, di fatto, a ben vedere, qualcosa è successo dal 3 dicembre, data dell’ultimo Dpcm: le persone sono uscite a fare acquisti e le loro foto sono state pubblicate sui social.

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Ingiustificati affollamenti

Non serviva la sfera di cristallo per prevedere che, non essendo proibito andare in giro, la gente si sarebbe riversata nelle strade per le compere natalizie, attratta anche dall’incentivo del cashback per la spesa nei negozi fisici, come detto. Eppure, esponenti del governo stigmatizzano gli “ingiustificati” affollamenti. Premesso che la “giustificazione” è data dalla legge, che consente di uscire, e che gli abitanti dei grandi centri non possono mettersi preventivamente d’accordo – magari mediante una chat cittadina - per alternarsi nelle vie del centro, di “ingiustificato” in quegli affollamenti c’era solo una cosa: la non applicazione di una norma che prevede l’intervento da parte dei sindaci, come autorità sanitarie locali, in «ambiti urbani in cui si determinino fenomeni di addensamento, allo scopo di limitare quelle occasioni di concentrazione e aggregazione di persone» (circolare del Viminale, 7 novembre).

Perché i sindaci non hanno adottato misure per impedire che le persone si ammassassero nelle vie dello shopping, contingentando gli accessi o altro, in modo da far rispettare il distanziamento? In alcune città pare che ora lo faranno: perché non pensarci prima, data la prevedibilità della situazione?

Più comodo dare la colpa ai cittadini, liberi di uscire, che assumersi la responsabilità del mal funzionamento dei meccanismi che sarebbero dovuti scattare a tutela della salute di tutti. Quando coloro i quali fanno le regole non ne valutano preventivamente gli effetti - anche in termini di conseguenze dei comportamenti consentiti – sembra una farsa il loro cadere sempre dalle nuvole ex post per ciò che era ovvio sarebbe successo.

Consigli non richiesti al governo

Agli esponenti del governo si vorrebbero ribadire due concetti, per evitare che aumenti l'esasperazione dei cittadini.

In primo luogo, è stato ridicolo fissare criteri “oggettivi” di classificazione delle Regioni per zone di rischio, con restrizioni commisurate al rischio stesso, stabilire regole per il periodo di Natale e poi derogare con disinvoltura a tutto questo, all’ultimo momento, ricorrendo alla contrattazione politica – l’antitesi della “oggettività” - per decidere la nuance del colore della penisola durante le feste. Per dimostrare un minimo di serietà, se ne è rimasta, dopo aver disposto zone rosse e arancioni natalizie si eviti di renderle automaticamente gialle dopo le feste, per poi lamentarsi di nuovo del “liberi tutti” in concomitanza dei saldi invernali nei negozi: si scali di colore - quindi, di misure restrittive - gradualmente.

In secondo luogo, basta con le promesse che non si è certi di poter mantenere: «se a novembre rispetteremo le regole riusciremo ad affrontare Natale con maggiore serenità», aveva detto Conte in conferenza stampa a fine ottobre. Meglio evitare di indurre aspettative, e poi disattenderle puntualmente.

Quanto fin qui detto non significa essere contrari alle chiusure natalizie: significa pretendere un Governo coerente, che segua con razionalità una linea di condotta improntata a criteri trasparenti, che si assuma la responsabilità delle proprie scelte e anche dei propri sbandamenti. Non si chiede molto. Si chiede solo rispetto.

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