Sul sito della Bce sta scritto in grande: «La stabilità dei prezzi è il miglior contributo che la politica monetaria può dare alla crescita economica». In effetti si tratta dell’obiettivo statutario della banca centrale che lo ha cifrato al 2 per cento di inflazione media annua. Ma l’editoriale del Wall Street Journal di fine maggio chiamava la Bce «la banca europea dell’inflazione» perché, contrariamente alla Fed e alla Bank of England, non ha ancora invertito la rotta espansiva.

Il 14 maggio il suo consiglio direttivo ha confermato la riduzione degli acquisti netti di titoli di Stato e il programma di interromperli durante il terzo trimestre (non all’inizio).

Ha ribadito che, man mano che scadranno i titoli acquistati in passato, continuerà a sostituirli tutti con nuovi acquisti «per un lungo periodo di tempo successivo a quando deciderà di alzare i tassi di interesse».

I quali, sul mercato interbancario a breve, sono ancora negativi e verranno aumentati  solo «gradualmente, qualche tempo dopo la fine degli acquisti netti di titoli».

Nel frattempo l’inflazione dell’eurozona è cresciuta dal 7,5 per cento all’8,1: più di 4 volte l’obiettivo statutario; mai stata così alta da quando c’è l’euro. Ancor più alta in Germania e Olanda, le più avverse all’inflazione.

L’idea che la causa siano soprattutto i prezzi dell’energia convince sempre meno. Si stanno radicando le attese di alta inflazione. L’euro è instabile fra 1,03  e 1,07 dollari, 7-8 per cento meno che a inizio anno. La credibilità di Francoforte è in pericolo.

È prevedibile che domani la Bce cercherà di conciliare il desiderio di non smentirsi con un segno di più impegno nel frenare i prezzi. Non mancano modi per farlo. Sarebbe poco se si limitasse a ribadire l’inversione di rotta nel corso del terzo trimestre.

Potrebbe anticipare al primo luglio la fine dell’acquisto netto di titoli e/o la prossima riunione del direttivo, ora prevista il 21 luglio. Potrebbe prefigurare ritmo e durata futura dell’aumento dei tassi o arrivare a decidere fin d’ora un loro primo aumento.

Può essere che finora abbia esitato per non crear problemi ai grandi debitori, fra i quali spicca il Tesoro italiano.

Per il quale la svolta della Bce significa più difficoltà di collocamento, svalutazione dei titoli sul mercato e oneri di interesse gradualmente crescenti sulle future emissioni.

La speculazione potrebbe aggravare il problema. Qualcuno suggerisce che la banca centrale si riservi si intervenire anche a favore di un solo paese, con uno “scudo anti-spread” come quello predisposto e mai usato nella crisi del 2012.

In realtà, per mantenere la credibilità del debitore Italia, basterebbe il rispetto del budget del governo unito alla puntuale esecuzione del Pnrr.

Ancor meglio se non tardasse la reintroduzione di un Patto di Stabilità ben riformato, che suonerebbe comunque rassicurante per i creditori.

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