Un paio di giorni fa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto a un gruppo di studenti di Norcia che se il governo fallisce la sfida del piano di ripresa basato sui fondi europei Next Generation Eu, «voi avete il diritto di mandarci a casa». Non ha specificato quando: il momento di usare la gentile concessione, peraltro già prevista da qualunque democrazia, potrebbe arrivare presto.

I soldi arriveranno nel 2021: 63,8 miliardi di sussidi e 127,6 miliardi di prestiti, secondo le stime del governo. Ci vorranno mesi per accedere davvero a quelle risorse, perché prima bisogna ottenere l’approvazione di progetti che devono rispettare alcuni criteri sui quali c’è ancora un negoziato aperto a livello europeo tra Commissione, parlamento e governi. La sostanza è già chiara, come si legge proprio in un documento del governo italiano presentato ieri, le Linee guida per il Piano nazionale di ripresa e resilienza: la «condizione primaria affinché i progetti presentati siano ammissibili è che essi facciano parte di un pacchetto coerente di investimenti e riforme ad essi correlate».

Tra i progetti destinati a una valutazione negativa da parte della Commissione ci sono per esempio i «progetti “storici” che hanno noti problemi di attuazione di difficile soluzione nel medio termine pur avendo già avuto disponibilità di fondi», una lunga perifrasi che si applica perfettamente al ponte (o tunnel) sullo stretto di Messina evocato in queste settimane da mezzo governo. Saranno valutati negativamente anche «tutte le riforme e gli investimenti che non hanno impatti duraturi su pil e occupazione e che non presentino stime attendibili sull’impatto economico atteso». Sono parole prese sempre dalle linee guida elaborate dal governo. Conte e i suoi ministri hanno dunque piena consapevolezza di quali sono i paletti per l’uso dei tanto attesi 209 miliardi europei. Eppure, nelle 72 pagine delle linee guida promettono di fare esattamente ciò che è vietato: vaghe riforme di ogni genere, promesse da tutti i governi degli ultimi 25 anni, senza alcun accenno alle stime di impatto di quelle spese, ai costi previsti o a un ordine di priorità e con un orizzonte temporale incerto.

Troppo presto per pretendere i dettagli? La Francia di Emmanuel Macron ha presentato un documento nel quale almeno ci sono cifre delle quali si può discutere: sappiamo per esempio che il governo di Parigi vuole sostenere il settore ferroviario con 4,7 miliardi di euro che vuole tagliare le tasse alle imprese per 20 miliardi nel 2021 e 2022. È molto più difficile avere un’opinione dell’impegno del governo Conte a «investire nella bellezza dell’Italia, quel capillare intreccio di storia, arte cultura e paesaggio che costituisce il tessuto connettivo del Paese». E davvero qualcuno pensa che possiamo usare sull’arco previsto di due anni i fondi europei per riformare il processo civile, il cuneo fiscale e l’imposta sui redditi, oltre a rendere digitale tutta la pubblica amministrazione? Per rispondere bisognerebbe avere qualche dettaglio sui piani del governo, ma non ne abbiamo nessuno.

I piani nazionali di ripresa vanno presentati ad aprile 2021, ma per evitare di farseli bocciare bisogna prepararli per tempo. Per il momento il governo Conte ha già fallito la sfida di Next generation Eu, ma può ancora rimediare. Resta da vedere se sarà più rapido l’esecutivo a cambiare approccio o gli elettori a prendere alla lettera il messaggio di Conte e a sanzionare quella che a oggi pare incapacità di essere all’altezza della situazione.

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