Se il governo Draghi sia tecnico o politico, tecnico mascherato da politico o viceversa, e sulle implicazioni di ciò, si è detto molto. Qualcuno si annoia e crede di poter tagliar corto: ogni governo è per definizione politico, punto. Ma il dibattito continua.

Un aspetto poco notato è che abbiamo un governo politico anche nella misura in cui, più o meno esplicitamente, asseconda due possibili intenzioni del mandato quirinalizio.

Prima intenzione: ottenere il riconoscimento che alcune politiche è bene abbiano una base bipartisan, non solo nell’emergenza. Al momento è ovvio il bisogno di concordia per affrontare la pandemia e avviare l’impiego dei fondi europei del Next Generation EU. Ma si tratta di riconoscere, più in generale, che in democrazia tante politiche, per ottenere successi sostenibili, devono avere una base condivisa dai partiti che poi si scontreranno sulle loro articolazioni.

La quota di condivisione necessaria è più alta per la politica estera che per quella industriale, per la politica giudiziaria che per quella del welfare, ma senza concordia sulle basi molte politiche non vanno “da nessuna parte”, letteralmente, perché anche la loro realizzazione partigiana finisce in un battibecco ostruzionistico.

I partiti italiani giungono a tratti a disconoscere la legittimità dell’esistenza reciproca. Nell’affrontare affiancati l’emergenza potrebbero abituarsi a condividere i punti di partenza senza rinunciare a confrontarsi per influenzare quelli di arrivo. Un metodo che dovrebbe sopravvivere quando torneranno a distinguersi meglio maggioranza e opposizione.

La seconda intenzione dell’incarico a un governo “senza formula politica” potrebbe essere complementare ma opposta alla prima, che vuol più concordia: ottenere miglioramenti nel modo di confliggere.

Potrebbe essere ciò di cui si parla ora con le crisi di Cinque stelle e Pd, e con la Lega che tenta di trasfigurarsi. Ossia comprar tempo per un riassetto dei partiti, che li porti a scontri democraticamente più produttivi quando tornerà il tempo di governi con formula e colore.

Da tempo c’è consunzione nella competizione desta-sinistra che la stagione populista ha messo in crisi ma non uccisa. Una competizione che va arricchita, incrociata, a tratti sostituita con crinali più fertili.

Se, come nel titolo del recente libro del direttore di questo giornale, vogliamo “tornare cittadini” e incidere sulla realtà, ci serve schierare i partiti, la destra e la sinistra, su fronti moderni e concreti, dall’interpretazione della rivoluzione verde, alle implicazioni di quella digitale, dai modi di trattare i monopoli ai modelli di riassetto della tassazione e del welfare, dall’entità e tipologia dei poteri da delegare a Bruxelles a quelle dei sussidi da dare all’arte e lo spettacolo.

Perché i cittadini incidano sulla Repubblica occorre riformare i partiti, portarli a confliggere su questioni davvero rilevanti con linguaggi chiari e persone credibili.

Se ciò, per cominciare a succedere, prendesse anche un paio d’anni, sarebbe un risultato politico importante ottenuto lateralmente dal governo senza formula.

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