Continua la sovrapposizione tra decisioni nel contrasto al Covid-19, nonostante il sistema “centralizzato” di classificazione in “zone” di rischio, definito con il Dpcm del 3 novembre. Il governo ha permesso alle Regioni di disporre restrizioni maggiori di quelle previste con Dpcm, utilizzando i criteri di valutazione sanciti a livello centrale, salvo poi consentire ordinanze basate sui criteri più vari. E non sembra un caso.

La qualità dei dati trasmessi per la classificazione in zone - parzialmente indefiniti, raccolti in indicatori dal peso opaco e combinati da un algoritmo poco chiaro - si è dimostrata peggiore di quanto ipotizzato.

L’incertezza dei risultati ha forse indotto il governo - che prima ne aveva vantato la “oggettività”, cioè la certezza - a lasciare più spazio alle regioni. E ciò ha determinato un’altra forma di incertezza, quella del diritto: basta aprire la Tabella relativa alle leggi e alle ordinanze, sul sito web della Conferenza delle regioni e delle province autonome, per verificarne l’ingente produzione, che si aggiunge a quella del governo.

Servirebbero riferimenti giuridici certi, ma spesso si vaga in una selva oscura di fonti affastellate.

Il caso Abruzzo

Il caso dell’Abruzzo è esemplare. La Regione è “zona arancione”, ma un’ordinanza del presidente del 18 novembre ha prescritto per tutto il territorio, fino al 3 dicembre, le misure disposte dal governo per le “zone rosse”.

Il Comitato tecnico scientifico regionale aveva anche chiesto di chiudere le scuole di ogni ordine e grado, ma l’ordinanza non l’ha previsto perché - ha spiegato il presidente della regione - non si sarebbe potuto alleviare il peso delle famiglie con congedi parentali o bonus baby sitter.

Ciò ribadisce che certe scelte motivate da ragioni epidemiologiche non sono scevre da valutazioni politiche ed economiche e attesta il sempre minore rilievo dei comitati, che tanta importanza sembravano aver avuto nella “prima ondata”. 

Il lockdown “mascherato”

Le restrizioni territoriali, più severe rispetto a quelle fissate dal Dpcm del 3 novembre per “zone” di rischio, stanno componendo il quadro di una sorta di lockdown “mascherato”, mediante limitazioni locali di attività commerciali, della circolazione e di altro.

Ancora una volta, non sembra un caso: Conte aveva promesso che non si sarebbe arrivati al lockdown generale e di fatto sta mantenendo la promessa. Sulle chiusure ulteriori restano solo le impronte delle regioni, mentre il presidente del Consiglio non si sporca le mani.

Le conseguenze peggiori sono per la scuola. Consentire alle regioni di disporre restrizioni maggiori di quelle dell’ultimo Dpcm, che tutela la didattica in presenza anche nelle situazioni a rischio, ha vanificato le rassicurazioni estive della ministra dell’Istruzione Azzollina circa il fatto che le scuole sarebbero rimaste aperte, grazie anche ai miracolosi banchi a rotelle.

In Campania, Calabria e Basilicata c’è la chiusura, la Valle d'Aosta sta decidendo, in Puglia c’è la didattica a distanza su richiesta delle famiglie, mentre in Abruzzo, ora “zona rossa”, le scuole restano aperte al di là dei contagi.

Il Natale, quando arriva, arriva?

Il dibattito pubblico è ora incentrato sui pronostici per Natale, come se il festeggiamento, e non il contrasto al virus, fosse la priorità del Paese. La sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa ha ipotizzato incontri tra parenti di primo grado, come se la parentela stretta salvasse dal contagio.

La ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova ha parlato di Natale “sobrio” e Conte  l’ha definito come «momento di raccoglimento spirituale», quasi a dare una connotazione etica e religiosa a condotte di tipo “sanitario”.

Di nuovo, sorge il sospetto che le maggiori restrizioni consentite alle regioni non siano un caso. Da un lato, il governo pensa a un Dpcm “natalizio”, che allenterà le misure restrittive per consentire tra l’altro più libertà negli acquisti, così da sostenere l’economia, e nel ritorno a casa dei fuori sede, “congiunti” anche se lontani.

Al contempo, in vista del Natale, alcune regioni cominciano a ipotizzare il passaggio a una classificazione di rischio più lieve, con minori restrizioni, dopo i sacrifici fatti oggi con le limitazioni ulteriori.

Pare quasi che i decisori – centrali e locali – all’unisono stringano ora la cinghia, per allentarla prima delle ricorrenze.

Babbi Natale che concederanno ai cittadini di festeggiare, salvo poi disporre nuove chiusure, se i contagi ricominceranno a salire. Allora sarà sempre colpa dei festaioli che non sono stati attenti, esattamente come dopo l’estate. Un film già visto, e non è un cine-panettone.

© Riproduzione riservata