La democrazia del pubblico, ci ha spiegato il teorico politico Bernard Manin, ha sostituito in questi ultimi decenni quella dei partiti. Quella del pubblico è una democrazia che non si regge su giudizi costruiti dai partiti e dai loro mezzi comunicazione. 

E’ autonoma dalle scuderie partigiane e quindi più orizzontale e ricettiva elle opinioni dei cittadini ordinari. Nella democrazia del pubblico questi ultimi fanno sentire maggiormente la loro voce senza bisogno di passare per il filtro partitico. Il nostro paese sembra alterare questa elegante teoria. In Italia la democrazia del pubblico prende una fisionomia diversa: non meno ma più partigiana; non meno ma più divisa emotivamente tra pubblici che sembrano non comunicare tra loro.

I sondaggi che si susseguono almeno dallo scoppio della pandemia, rivelano una situazione di persistente gradimento del presidente del Consiglio (e anche del suo governo) a fronte di un altrettanto persistente movimento di opposizione da parte di un numero cospicuo di opinionisti politici.

Si può quindi constatare un divorzio tra due opinioni all’interno della sfera dell’opinione pubblica. Due opinioni che come binari corrano parallele, incapaci di un reciproco adattamento.

Giuseppe Conte resta sostanzialmente indigesto a chi ha voce individuale nell’arena di discussione, mentre resta sostanzialmente digeribile a chi non ha una voce individuale e si esprime attraverso i sondaggi, la misurazione del sentire generale. 

Il divorzio è ancora più macroscopico qualora si consideri l’intensità di esposizione mediatica dei politici ostili al governo Conte, siano essi vicini o diametralmente opposti rispetto alla maggioranza.

La recente minaccia di crisi della maggioranza cominciata con il ritiro dei ministri di Italia viva non ha alterato questa discrepanza. Chi fa l’opinione non sta sulla stessa lunghezza d’onda di chi la riceve.  La stranezza balza agli occhi nella “democrazia del pubblico” che dovrebbe essere più pragmatica nei giudizi politici e più attenta alle questioni di merito.

Sembra invece che il metodo del partito preso guidi i giudizi proprio tra coloro che in teoria dovrebbero essere meno esposti a reazione emotive, una caratteristica che da Walter Lippmann in poi è stata generalmente associata ai cittadini ordinari.

Questo rovesciamento dei ruoli è sintomatico di una democrazia del pubblico diviso. E il fulcro della divisione è molto spesso una tendenza personalistica che dispone i liberi battitori del gioco politico verso atteggiamenti assertivi e auto-referenziali. Un atteggiamento che è polarizzante e spesso non connesso a temi concreti.

Abert O. Hirschman ha associato la disposizione antideliberativa al comportamento di chi usa la dimensione pubblica per mettere in mostra la propria presunzione di “sapere tutto”. Inutile dialogare.

Questo individualismo dei battitori liberi accende attrazione emotiva nella spettacolo mediatico, agevolando stili del discorso che sono tanto radicali quanto inefficaci.

© Riproduzione riservata