A poco più di due settimane dal voto la campagna elettorale sembra inesorabilmente scivolare lungo un piano inclinato alla fine del quale si prospetta la vittoria di un centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Non si può parlare della più brutta campagna elettorale di sempre, ma sicuramente nemmeno di una delle più avvincenti. Caratteristica che richiede una dose di incertezza, competizione, imprevisto. 

La storia delle campagne elettorali insegna che due tipi di eventi possono intervenire a mutarne il corso. I primi sono fatti di cronaca, avvenimenti imprevisti che prescindono dalla politica e si impongono nell’agenda della campagna. La morte di Enrico Berlinguer che ha permesso al Pci di superare, unica volta nella storia, la Dc nelle urne alle elezioni europee del 1984. Lo stupro alla stazione ferroviaria La Storta a Roma che nel 2008 ha imposto il tema della sicurezza nelle elezioni comunali della capitale vinte da Gianni Alemanno. O ancora il “caso Macerata” nella campagna del 2018. Si pensi all’impatto che potrebbe avere oggi una (non certo auspicabile) recrudescenza dell’emergenza Covid.

I secondi sono invece atti politici decisi dai partiti. La costituzione dei Comitati civici che nel 1948 ha ribaltato un esito dato per scontato; il battage sulla “legge truffa” – efficace già dal nome – che nel 1953 ha impedito alla coalizione centrista di raggiungere il 50 per cento dei voti; l’accordo a doppia trazione di Forza Italia che nel 1994 si è alleata al nord con la Lega e al sud con Alleanza nazionale, unendo secessionismo e nazionalismo; Silvio Berlusconi ospite di Michele Santoro a Servizio pubblico, nel 2013, con l’ex premier che esce rivitalizzato dall’incontro-scontro con i nemici di sempre. In mancanza di uno di questi due tipi di avvenimenti le campagne elettorali si avviano alla loro conclusione senza particolari patemi per le forze in vantaggio.

Che fare?

La prospettiva del Pd di risultare primo partito e del Movimento 5 stelle di superare la Lega posizionandosi al terzo posto, se possono accendere gli entusiasmi degli apparati e delle sempre più ristrette cerchie di militanti e iscritti, appaiono ben poca cosa di fronte alla quasi certezza di una sonora batosta. E l’idea di attendere seduti sulle sponde dell’opposizione la resa di Meloni, travolta dai marosi della crisi energetica ed economica dopo soli pochi mesi di governo, pur da più parti già ipotizzata, non è molto più allettante. 

Quasi surreali appaiono anche le voci di coloro che all’interno di Pd e M5s ipotizzano una possibile ripresa del dialogo e della collaborazione fra le due forze dopo il voto. Anche perché la logica dell’attuale legge elettorale sta portando ad accentuare ancora di più lo scontro fra le forze dell’area del centrosinistra, nella speranza di sottrarsi un po’ di voti.

Curzio Maltese nei giorni scorsi su questo giornale ha usato l’immagine degli uccelli che si beccano sul ramo ma, più il voto si appropinqua, più è la metafora dei due capponi di Renzo che si azzuffano incuranti della padella che li aspetta a sembrare appropriata.  

Le campagne elettorali si nutrono non solo di programmi, ma anche di entusiasmo ed energia.  Vedremo cosa i leader e i loro staff sapranno inventarsi nei prossimi giorni.  Nel frattempo l’idea di promuovere una desistenza nelle urne, realizzando ora quello che non si è stati capaci di fare prima, unendo i due elettorati, facendo confluire i voti al sud sul M5s e al nord sulla coalizione guidata dal Pd, potrebbe essere in grado di cambiare il corso della campagna, di rimettere in circolo energie e in discussione l’esito delle elezioni.

Un più ragionato calcolo regione per regione, permetterebbe di contendere molti collegi uninominali ora dati per persi, e di bilanciare il numero degli eletti in maniera proporzionale alle percentuali di voto.  Difficile che partiti che sembrano più attenti ai loro interessi che a quelli del paese e degli italiani, tante volte evocati, siano in grado di un simile colpo d’ala. Se la rete fosse davvero uno strumento di democrazia e partecipazione dal basso forse è da li che dovrebbe partire un movimento di desistenza popolare che rifiuta di avere già perso.

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