La gioia per Alessandra Todde e il dispiacere per Luciano D’Amico. Certo, meglio vincere che perdere, ma lo spoglio abruzzese in onda mentre gli Oscar non premiavano Io capitano non è la fine del film. Come per Matteo Garrone la qualità rimane. Nel caso nostro in Abruzzo il consenso al Pd è cresciuto, il divario tra i due schieramenti si è ridotto.

Dirlo dopo il pasticcio della Basilicata e la fatica in Piemonte può sembrare un premio di consolazione alla scenografia o al trucco, ma non lo è. È un fatto accaduto con Elly Schlein e la sua convinzione di unire il fronte progressista aprendosi a patti con sigle, movimenti, piazze.

D’altronde l’Ulivo e lo stesso Pd nascevano così, nell’idea che solo con l’altra e l’altro puoi incidere sulle cose e i sentimenti. Quel tratto vale tanto più davanti a un mondo indecifrabile nel suo caos drammatico. L’Europa afona tra potenza delle tecnologie e guerre di trincea, corpi stuprati, bambini mutilati. Prima l’Ucraina aggredita, poi il pogrom di Hamas e la carneficina nella Striscia. Sullo sfondo, spesso non visti, un centinaio di conflitti che trascinano fame e violenza.

Anche solo per immaginare un dopo l’augurio è che insieme si cresca, che altre soggettività si aggreghino attorno al civismo e nello spazio battezzato del “centro”, ma con una chiara scelta di campo. Però non suoni offesa a qualcuno pensare che il rafforzamento del Pd sia una vera necessità politica per tutti.

Più consensi al partito più grande vuol dire più credibilità di tenuta per l’alleanza. Almeno per due ragioni. Perché quella forza ha radici nella storia e una famiglia in Europa.

Liberare il Pd

Nessuna boria di un partito che spesso fa soffrire per gli errori o le inadeguatezze. Anzi sento l’umiltà e l’urgenza di liberarlo da pigrizie e potentati. Portarvi dentro periferie, progetti, cultura. Un partito troppo degli eletti in cui pochi sono ancora operai, precari, ragazze e ragazzi alla ricerca di un senso.

È tempo di immaginare una partecipazione attiva per la speranza e contro la paura. Comitati per l’alternativa, spazi nelle città e nei comuni. Il macigno delle astensioni ci riguarda ed è anticamera di un distacco dalla democrazia. Su questo la destra innalza muri e inventa nemici per coprire un disastro sociale e tentare l’elezione diretta “del” presidente del consiglio con l’elmetto in testa. Sono litigiosi, inconcludenti, ma hanno collanti robusti.

L’uso impudico del potere e la rivincita verso la storia, si tratti dell’Illuminismo, dell’antifascismo o degli anni settanta. L’interprete può cambiare a seconda della dote di voti o risorse, ma lo spartito è lo stesso.

Il vento reazionario soffia anche altrove coi suoi bersagli preferiti: la libertà delle donne in primis. Non sono soli in Europa e lo saranno ancora meno se a novembre gli americani premieranno un suprematista fanatico. Biden sarà anche un signore anziano, ma ha usato parole giuste aprendo il discorso sullo stato dell’Unione: «Stasera mi presento in questa stessa aula per avvisare il Congresso e il popolo: è dai tempi del presidente Lincoln che la libertà e la democrazia non sono sotto attacco come oggi, sia a casa nostra sia all’estero».

In questo scenario il Papa nella sua spiritualità implora per la pace. A noi resta il dovere di costruirla. Non vi è dubbio, alle persone vanno prospettate soluzioni su lavoro, salute, scuola, cura degli anziani. Ma in vista dello spartiacque vero, le elezioni europee, dove ciascuno sosterrà la propria lista, sarebbe un messaggio di riconoscimento di cittadine e cittadini, dichiarare un percorso limpido e prospettare la visione per un’alternativa sociale e morale nel nostro paese e per un’Europa che ritrovi l’anima.

Ondeggiare nell’area incerta, in una escalation di distinguo tra competizioni e vanità piuttosto maschili, toglie stima all’immediato e spegne la fiducia nel dopo. Penelope tesseva la tela, che la notte disfaceva in attesa di Ulisse. Oggi Penelope non disfa la tela perché alle porte – cari amici 5 Stelle, cara sinistra e progressisti tutti – non si vede Ulisse ma l’incubo di nuovi proci. E allora, forse, più che aspettare, bisogna provarci.

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