Il Pd sta buttando al vento l’occasione di discutere sulle sue finalità. Invece di dedicare tempo a dibattere a livello locale prima, e nazionale poi con un bel congresso all’antica – o per meglio dire all’europea - dove per quattro giorni di fila ci si confronta, si litiga e dopo, soltanto dopo,  si eleggono un gruppo dirigente e un segretario, si abbreviano i tempi per andare subito alla scelta del leader. 

L’esperienza, positiva delle agorà viene cestinata. E continua a fare danni Il virus delle primarie, iniettato nel Pd a scopi strumentali, prima per legittimare un leader senza partito – Romano Prodi – e poi per scardinare la forza organizzata degli ex-Ds da parte delle minoranze prodiane-margheritine.

Piuttosto che  affrontare la questione di cosa vuol essere, e fare, il Pd si rifugia nella solita competizione tra candidati alla segreteria.

Non un solo tema è diventato oggetto di dibattito. Non i migranti (accoglienza, integrazione, cittadinanza), non il salario minimo (sì o no?), non l’autonomia differenziata  (secessione dei ricchi o difesa del fortino dell’Emila rossa), non il conflitto in Ucraina (agire per promuovere la pace o limitarsi a inviare armi e consiglieri), non le diseguaglianze di genere e generazionali soprattutto in merito all’accesso al mercato del lavoro.

Non, infine, quale società prefigurare. Il Pd punta ancora ad una società dove i poveri abbiano di nuovo voce in capitolo e non continuino ad essere esclusi dalle arene rappresentative, e soprattutto dalla mentalità collettiva, dato che oggi chi non ha un lavoro oltre a ritrovarsi senza risorse economiche  viene pure stigmatizzato come un fannullone?

L’elettorato Pd che vive nelle Ztl, nelle belle (prime) case grazie a professioni ben retribuite non vive direttamente l’angoscia della povertà e la frustrazione della sottooccupazione e della disoccupazione, e tuttavia sente questi drammi come propri, nodi da sciogliere per avvicinarsi ad una società più giusta.

Nella sua storia la sinistra è avanzata perché c’era una borghesia illuminata che aveva coscienza del mondo degli indigenti e degli sfruttati.  

Il capitalismo ha da tempo disarticolato la classe operaia rendendo difficile per la massa dei sottoprivilegiati  mobilitarsi a difesa dei propri interessi.

Ma questo mondo esiste ancora, anzi si estende; e alimenta massicciamente l’area del non-voto perché non trova più chi lo rappresenta.

La sinistra italiana ha sì conquistato, e per fortuna, il consenso di ampi strati di borghesia; ma solo la riconquista dei ceti popolari, persi per strada, ma in gran parte ancora disponibili, prima che vengano risucchiati dalla destra nazional-populista, le consentirebbe di tornare competitiva.

Altrimenti diventa succube del moderatismo calendiano o del antagonismo descamisado dei Cinque Stelle.

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