La Bbc, ben più e certamente meglio di finanza, basi militari ed esotici pozzi di petrolio, è il residuo della britannica grandezza che riesce tuttora – e dovunque – a farsi prendere sul serio. Alla base di tanto successo planetario stanno due fattori: la divisione dei poteri che sul piano materiale c’è, garantisce in modo permanente - rispetto alle variabili di Politica ed Affari – le risorse finanziarie per la gestione autonoma dell’Ente (come per la Rai non c’è mai stato); l’originario (1926) intreccio con la cultura liberale che postulava la terzietà dell’informazione finanziata con le tasse.

Così, indipendente per statuto ed equanime per convinzione, la Bbc ha attraversato un secolo di scontri sociali, guerre calde e fredde, dismissioni di colonie e avventure neocoloniali, attentati dell’IRA, reali da tabloid, scandali sessuali, il transito dall’Inghilterra vittoriana alla minigonna. Uno squarcio sugli strumenti del mestiere di un Servizio Pubblico così solido l’offre una recentissima polemica sull’abbinamento fra Hamas e il terrorismo che la Bbc evita di compiere, evitando di denominare “terroristico” il movimento in quanto tale o le sue stragi

. E va da sé che ministri, editorialisti e gente varia chiedano conto alla Bbc di questo comportamento intendendolo come reticenza. A tutti ha risposto John Simpson, il World Affairs editor che amalgama entro la linea editoriale cronache ed analisi dai quattro angoli del globo, spiegando che non di reticenza si tratta, bensì di un criterio costantemente adottato dalla Bbc nello sforzo di essere obiettiva.

In pratica uno speaker Bbc non apre il Tg dicendo: «Il movimento terrorista Hamas minaccia etc etc» né «mille sono le vittime dell’attacco terroristico». Perché, spiega il capo del settore, “terrorista” e derivati sono loaded words, ovvero parole caricate di giudizio, che il fine dell’obiettività deve scartare per non mischiar fatti (le stragi) e giudizi di valore (intenzione terroristica). Del resto le guerre guerreggiate stanno a ricordare che se ogni strage incute terrore, il terrorismo è una specifica scelta di violenza volta al terrore in quanto tale.

Ovviamente la parola “terrorismo” in versione sintetica di analisi e giudizio risuona sovente nei canali Bbc, ma ad opera dei personaggi intervistati proprio per sentirne il punto di vista. Mentre resta al pubblico comprendere che nel mezzo delle sfumature espressive di intervistatore e intervistato c’è uno spazio di giudizio cui è chiamato a provvedere. Può parere un procedere pignolo, di fronte a tanti «parla come mangi!». Ma la cosa pare funzionare, se è vero che la Gran Bretagna ha battuto il nazismo senza che mai la Bbc, allora monopolio, definisse i nazisti altro che col nome di “nemici”, termine incolore, ma sicuramente assai preciso.

La Rai (e il suo destino)

Di fronte e a tanta fermezza della Bbc nell’evitare di contrabbandare giudizi propri con le scelte della lingua, nei corridoi Rai corre l’idea che l’obiettività non esista e che la cosa più onesta nei confronti del pubblico sia l’organizzazione di posizioni partigiane ciascuna con la sua bandiera su un canale o su un programma. Si tratta, diremmo, del praticismo - estraneo a una missione informativa liberale - che funge da sostanza della lottizzazione che (altro che divisione dei poteri) è la base strutturale di un’azienda in cui è saldo il rapporto fra la Programmazione e la Politica.

Lottizzazione, va aggiunto, cui non è mai mancato un autentico appoggio popolare, forse frutto del particolarismo autoreferente proveniente dalla Storia del Paese e perfino anticipatore delle bolle e tastiere compulsive che se la dicono tra amici.

È concepibile che la Rai, Azienda di Servizio, possa capovolgersi in Bbc, Servizio Pubblico Indipendente, per cercare un futuro diverso dalla sempre più stanca perpetuazione del presente? Non lo si può escludere, ma appare pressoché impossibile perché quel capovolgimento sarebbe in conflitto con la Politica del breve termine e, quanto alla comunità di dipendenti e fornitori, coi mille interessi e paure del presente. Per non dire della difficoltà di mutare l’asse culturale per riuscire, fra l’altro, a riconoscere e dismettere le parole sovraccariche.

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