Diciotto mesi fa, nel centenario della Marcia su Roma, la destra di origine fascista è andata al governo in Italia. Il piano era lineare, riguardava l’Europa e l’Italia. Dopo diciotto mesi, e cioè con le elezioni europee e con importanti amministrative nel nostro paese, il piano era rimasto lo stesso: battere le forze della tradizione costituzionale per avere la capacità di guidare il cambiamento della direzione dell’Europa. Il piano in sintesi era: fuori i socialisti dal governo dell’Ue. Possiamo domandarci: il piano si è avverato?
Alla Camera la presidente Meloni ha pronunciato un discorso che sembrava una dichiarazione spontanea di chi, a processo, ha perso l’avvocato. Ha cercato di giustificare il fatto che la cavalcata trionfante che aveva immaginato, con un grande successo elettorale in Italia e con un successo politico in Europa, è crollata miseramente.
In Europa la maggioranza emargina la destra totalitaria e reazionaria. E la presidente deve chiedere clemenza per non essere definitivamente umiliata anche nella assegnazione degli incarichi Ue. Si è capito tutto dalla sua ultima frase: ha spiegato di voler resistere, e provare a migliorare qualcosa.
Il miglioramento consisterebbe nella sburocratizzazione: non si capisce cosa sia. La liquidazione delle burocrazie nazionali non è nei suoi poteri. Quelle europee sono gli organi di direzione e rappresentanza: con cosa li vuole sostituire?
Diciotto mesi fa, nel centenario della Marcia su Roma, la destra di origine fascista è andata al governo in Italia. Il piano era lineare, riguardava l’Europa e l’Italia. Dopo diciotto mesi, e cioè con le elezioni europee e con importanti amministrative nel nostro paese, il piano era rimasto lo stesso: battere le forze della tradizione costituzionale per avere la capacità di guidare il cambiamento della direzione dell’Europa. Il piano in sintesi era: fuori i socialisti dal governo dell’Ue. Dopo diciotto mesi possiamo domandarci: il piano si è avverato?
Per essere onesti con noi stessi, dobbiamo anche chiederci su quali pilastri si è appoggiato il governo di destra per sconfiggere le forze della sinistra, del progresso e della Costituzione.
In primo luogo ha cercato un legame con le varie destre italiane, e le ha legate con la criptovaluta delle riforme false, che non sono riforme possibili neanche per loro, ma sono solo spezzoni di annunci che servivano a pagare le classi dirigenti della destra, per tenerle unite.
Ma Meloni ha anche puntato su cooptazioni opportunistiche dalle tradizionali classi dirigenti. Il cui opportunismo viene classificato sempre con benevolenza: non un trasformismo, ma una maturazione evolutiva. Alcuni fenomeni sono inspiegabili: abbandoni di commissioni, o annunci di allontanamenti, poi ritorni, abbandoni di fondazioni. Movimenti che hanno sempre tenuto coperte le ragioni oscure di questo nomadismo delle nomenklature.
Ma nelle europee è avvenuto qualcosa di importante: in Europa i socialisti non sono stati espulsi dalla maggioranza. Anzi, la maggioranza è stata confermata. E anche in Italia è avvenuto qualcosa di importante: una parte di nuovi elettori – gioventù, élite democratiche – si è mossa nell’area progressista, tornando nel campo della lotta politica, che aveva abbandonato.
Il riflesso si è avuto nell’improvviso precipitare di La Russa e camerati a sostenere che va abolito il secondo turno delle amministrative. Il fatto ridicolo è che il presidente del Senato ha chiesto la modifica dopo il ballottaggio, quando ha visto che l’esito non giovava più alla destra, e anzi aveva dato un movimento univoco: la destra perde voti, la sinistra li guadagna. Quindici giorni fa la destra era certa della vittoria, aveva già assegnato le città: di cinque capoluoghi, uno certo, Bari, uno incerto, Firenze, e tre sicuri a destra. E invece il risultato è stato cinque a sinistra.
Questa sconfitta avrà conseguenze: nella ricerca di obiettivi per accelerare la fine del governo di destra. Soprattutto ha indebolito la destra italiana in Europa. Oggi non si parla più di una guida italiana della destra europea, ora Meloni deve trovare un sostegno nel presidente ungherese Viktor Orbán per trovare un governo disponibile a darle qualche appoggio, e comunque per tentare di non essere esclusa.
Si apre dunque un fronte nuovo. Il fronte progressista si deve mettere in moto. Primo, per sconfessare la campagna illusionistica di riforme impossibili, cioè di questa falsa moneta con la quale si paga un’alleanza di quattro destre, tutte concorrenti, tutte pronte a giocare la partita autonomamente se la sinistra sarà in condizioni di presentare un piano di grande riordino del sistema politico italiano.
Ma per questo, ed è il secondo punto, la sinistra deve trovare la forza e la capacità di elaborare una piattaforma in cui deve dire con nettezza che è superata la fase delle sovranità nazionali: c’è da costruire la sovranità dello stato federale europeo. Su questo bisogna rovesciare l’impostazione: la guida della direzione politica dell’Europa non è negata all’Italia, anzi, spetta all’Italia repubblicana, dopo che ha avuto la tragica esperienza del governo di destra. Che però in diciotto mesi ha saputo battere.
Le opposizioni devono solo stare attente a un equilibrio: accelerare lo sgombero del governo per il male che sta arrecando, ma senza travolgere gli interessi più immediati dell’Italia in un’Europa dove la solidarietà verso il nostro paese è già ai minimi termini.
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