La storia del ponte sullo stretto di Messina farebbe ridere se non rappresentasse la malafede di una classe dirigente incapace di portare il paese fuori dalla sua drammatica crisi ma anche di discuterne in modo serio.

Ci preoccupiamo di non lasciare troppi debiti alle prossime generazioni ma per esse il vero choc sarà scoprire un giorno come abbiamo ragionato del loro futuro, e soprattutto come i loro nonni si sono fatti prendere in giro dai loro cosiddetti leader.

Venerdì scorso il renziano siciliano Davide Faraone ha esordito nel vertice sul Recovery Plan con il premier Giuseppe Conte chiedendo l'inserimento del ponte sullo stretto tra i progetti.

Subito dopo il suo capo l'ha smentito furbescamente, dicendo che lui, Matteo Renzi, non ha mai fatto simile richiesta perché «è tecnicamente impossibile inserirlo nel Recovery plan». Una fake news? Non sembra. Faraone non smentisce di aver reiterato una richiesta da mesi nell'agenda di Italia Viva.

Il ponte rimane dunque al centro del dibattito, e i politici cercano, tutti seri, di far credere che quella grande opera risolverebbe i problemi del sud e dell'Italia tutta. Come se non sapessero che diceva la stessa cosa Silvio Berlusconi 20 anni fa, e dunque in questi 20 anni non è successo niente e ancora siamo a dire che col ponte di Messina va tutto a posto?

Come se non sapessero, soprattutto, quello che è arcinoto da sempre: al di là dell'utilità, quel ponte non si può fare. Non c'è neppure un progetto definitivo approvato.

Il ponte è stato dichiarato clinicamente morto otto anni fa non da un comitato No-Tav ma dal presidente del Consiglio Mario Monti. E la società Stretto di Messina, stazione appaltante che bandì la gara 15 anni fa, è in liquidazione. Il ponte non c'è più.

Quindi se non è malafede è peggio. Ogni giorno centinaia di persone vengono uccise da un contagio che non si sa come fermare e migliaia di persone perdono il lavoro, dipendente o autonomo che sia. Nel frattempo quale potente sostanza psicotropa dà a questi personaggi il coraggio di parlare delle loro allucinazioni sul ponte di Messina?

Eppure corrono tutti. Silvio Berlusconi fornisce la sua ricetta per il Recovery Plan, ed ecco servito «un ambizioso piano infrastrutture con la centralità del Ponte sullo Stretto di Messina». Matteo Salvini si è subito precipitato a proclamare che il ponte sarà costruito non appena la Lega tornerà al governo.

Ma non è che a sinistra stiano messi meglio. Due mesi fa Italia Viva, non avendo ancora capito che era «tecnicamente impossibile», ha fatto votare alla Camera una mozione che chiede al governo di inserire il ponte nel Recovery Plan.

L'hanno firmata anche gli altri gruppi della maggioranza: Pd, M5S e Leu, nonché l'onorevole Albrecht Plangger del gruppo misto-minoranze linguistiche.

Il bersaniano Nicola Stumpo ha proposto una cosa che va letta nella sua interezza: «Ragionare sul Mezzogiorno come un unico modello, un modello che si tiene insieme, da Bari a Napoli, passando fino a Reggio Calabria e ritornando poi, attraverso Taranto, nuovamente a Bari, e mettere insieme tutte queste regioni, costruire un centro, un polo che possa essere un polo di attrazione per il turismo, che possa essere un polo, come lo è per l'agricoltura, di scambi per le proprie ricchezze territoriali e che possa, quindi poi continuare con un attraversamento stabile dello Stretto, a essere il collegamento con la Sicilia, con l'alta velocità fino a Palermo o fino a Siracusa».

Già, ma perché serve l'alta velocità da Napoli a Palermo? Non è che adesso ci sono i binari di legno. Se i profeti dell'infrastruttura guardassero l'orario ferroviario, scoprirebbero che oggi si va in treno da Napoli a Reggio alla media di 125 chilometri orari, come da Roma a Livorno o da Bologna a Bari. Sono le vecchie linee dell'800, aggiornate, tutte uguali.

Perché serve l'alta velocità Napoli-Reggio e non la Bari-Bologna? La nuova ferrovia Napoli-Reggio (500 chilometri) costerebbe almeno 10 miliardi, con i quali, in tempi molto più rapidi, si potrebbero comprare mille elicotteri e farli volare all'impazzata per portare avanti e indietro i frettolosi. Se questa ipotesi vi sembra un po' surreale, avete ragione. Ma è molto più realistica del ponte sullo stretto.

© Riproduzione riservata