“Don’t cry for me, Ceglie Messapica”. È proprio un peccato che l’Italia non abbia mai davvero avuto la sua Broadway dopo i trionfi pionieri di Garinei e Giovannini, e forse è ora che il ministro Franceschini inizi a pensarci seriamente: per la riapertura dei teatri post pandemia i nostri librettisti hanno infatti già il loro Evita bell’e pronto, una strepitosa e divisiva epopea rags to riches, dalle stalle alle stelle, dalla Germania degli emigrati al Grande Fratello dei nominati, da Alberto Sordi a Aaron Sorkin, dalle Murge alla Casa Bianca.

E ancora: infanzia negletta e miserabile, freddo e fame, sesso e schiaffi, comunismo e danze popolari, populismo e completi D&G (featuring Alessandro Di Battista nel ruolo del Che, narratore ammirato e indignato dalla scalata sociale del nostro avventuriero). C’è davvero già tutto ne Il Portavoce – appena uscito per Piemme – l’autobiografia di Rocco Casalino finalmente “ubriaco di libertà” e pronto a rappresentare solo sé stesso dopo essersi nascosto per vent’anni, come ha raccontato a Propaganda Live: i vent’anni in cui è stato perennemente davanti alle telecamere siano esse monnezzare o istituzionali, ma quella narrata da Casalino è chiaramente una vicenda umana schizofrenica, e nel melodramma del resto conta soprattutto la resa emotiva, non già la verosimiglianza dei fatti esposti.

Troppo intelligente

E di emotività e schizofrenia trasuda tutta l’opera, quasi trecento pagine per raccontarci il dramma di essere troppo “delicato” ma soprattutto troppo intelligente per questo paese.

Anzi, per questo mondo: perché ovunque si trovi, Rocco incontra solo ostilità e diffidenza, con pugliesi italiani tedeschi europei per una volta tutti complici nel domandarsi con sospetto «come mai uno è così intelligente?», o nel trasecolare («Quando si accorgevano che parlavo tedesco ed ero intelligente erano stupiti, mi guardavano meravigliati»), o nell’arrendersi infine all’evidenza («Ah, ma allora pensa, allora è intelligente, allora non è scemo»). Perché tutti odiano Rocco, ci spiega Rocco, ma Rocco sa sempre come lasciarli a bocca aperta perché Rocco è «un vero genio nelle materie scientifiche».

Un genio tutto italiano, con quell’ossessione del Voto e del Titolo che nemmeno le nonne meridionali patiscono più e che fanno sembrare Il Portavoce un romanzo degli anni Cinquanta: «Di centodieci e lode se ne vedono a dozzine, ma i sessanta alla maturità sono rarissimi... Per me non è un caso che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio abbiano preso il massimo alla maturità» – «In calce alla mia mail c’è scritto Dott punto Ing punto Rocco Casalino e sotto Portavoce del presidente del Consiglio dei Ministri, Capoufficio stampa del governo».

Insomma, quasi trecento pagine per dimostrare che puoi togliere il ragazzo da Ceglie Messapica, ma non puoi togliere Ceglie Messapica dal ragazzo.

Un incipit niente male

Ceglie Messapica, dove «il pettegolezzo è per sempre, come un diamante», e dove la storia dei genitori di Rocco sembra la versione horror de La ragazza con la pistola, con la madre angariata da tutti per questioni d’onore e poi calata in un pozzo nel tentativo di farle abortire la bambina che aspetta, e col padre che conserva il fazzoletto bagnato del sangue della deflorazione.

A Ceglie è nata anche Teresa Bellanova, ma purtroppo non c’è nessun crossover stile Marvel in cui Teresa arrivi a fare giustizia. Anzi, botte su botte, anche su Rocco che nel frattempo è nato in Germania dove la famiglia è emigrata. Il padre è chiaramente la causa di tutto, il Villain cui Rocco dice «devi morire» nell’incipit del libro che tutti hanno citato e che non è niente male: per quattro pagine uno spera quasi che Il Portavoce sia interessante per le ragioni giuste. Il padre che beve e picchia, che non vuole farlo studiare, che pensa «questo è frocio», che nasconde i soldi e spegne il riscaldamento e costringe il figlio a guardare film horror per renderlo «più uomo». Ma Il Portavoce è soprattutto una storia di strenuo intelligentismo, e dunque Casalino senior in certi momenti tira subito fuori «un’intelligenza non comune, viva, forte».

Del resto non si diventa genio per caso. E se è difficile perdonare Rocco per riflessioni come «Giuseppe Conte è il padre che tutti sogniamo e mi sta aiutando a vedere la figura paterna in un modo completamente diverso», amerete però sapere che alla fine del libro l’autore perdonerà finalmente il suo babbo grazie a una poesia di Giovanni Pascoli: i riferimenti culturali di Rocco sono sempre a metà tra i libri MilleLire della nostra adolescenza e i Pasolini-De André-Calvino obbligatori per chiunque ci tenga moltissimo alla presentabilità sociale.

Reminiscenze ammuffite che tornano per tutto il libro, con scene che sembrano svolgersi in universo parallelo dove non esiste non dico Internet, ma nemmeno la tv o il cinema o la musica pop.

Soprattutto quando si tratta di affari personali: dalla scena indimenticabile in cui Rocco cita continuamente gli aforismi di Oscar Wilde agli allibiti compaesani (sembra la versione pugliese dello sketch di Little Britain, The Only Gay in the Village), alla scoperta della bisessualità mediterranea pasoliniana raccontata come inaudita svolta esistenziale (e la mancanza di un editor si sente in atroci riflessioni tipo «quando ho scoperto che anche Pasolini si innamorava solo di eterosessuali è stato come vincere di colpo alla lotteria». Senza considerare che un agghiacciato PPP molto probabilmente oggi trarrebbe dalla parabola di Rocco un nuovo Salò).

Sesso, tv e Politica

A proposito di amore e sesso Il Portavoce sembra scritto con la chiara ambizione di fare incazzare un po’ tutti: lo psicanalista di Rocco («Il mio tipo ideale è proprio come mio padre»), i gay («Il corpo della donna è più caldo, umido, accogliente. Tutto è pronto, bello, giusto, piacevole. Non così nel rapporto omosessuale. Quindi se ci fosse una pillola per diventare eterosessuale la prenderei subito»), il fidanzato cubano descritto con la stessa passione di un cugino di terzo grado (sarà una vendetta per il trading on line), i bolognesi (l’università è fredda e inospitale, i ragazzi sono troppo effeminati e esibizionisti), i settentrionali tutti («Appena metto piede in un paese del nord di colpo sono preso da quella tristezza che spegne il desiderio»).

Per fortuna Rocco scopre presto una passione più bruciante, la politica. Comunismo e taranta nella sua Puglia, e i talk di Raitre («Michele Santoro riusciva a farmi sentire la profondità del dolore della gente»).

Ma scopre anche – sempre in ritardo di trent’anni sul resto dei suoi coetanei – che la laurea italiana, persino quella in ingegneria, non serve a niente, soprattutto se ti eri immaginato nuovo Bill Gates e pretendi di fare il guru in Puglia (il libro è pieno di lamentele sul pendolarismo, è davvero la storia più italiana mai prodotta dopo Cuore e Pinocchio).

Per fortuna siamo nel 2000 anche se non si direbbe, e il Grande Fratello è dietro l’angolo: Rocco deplora molto che quella esperienza di tre mesi pregiudichi ancora la sua reputazione, come se non sapesse che tre mesi in tv h24 – come sicuramente direbbe lui – equivalgono a tre anni.

Su quella avventura epocale si è scritto di tutto, a noi lettori basti sapere che Rocco si gode ricchezza e successo, compra la Porsche e il Rolex, ma ben altri reality lo attendono: ha capito infatti che i soldi non fanno la felicità (davvero non gli si può nascondere nulla, coi suoi tempi ma ci arriva), «e so che anche il premier è così e la pensa così. E questo ci rende incorruttibili».

Il premier, dunque: anzi l’ex, visto che la storia non si ferma ma le rotative sì. Il premier che Rocco «scova» e plasma non senza gravi dubbi: «Questo è un professore, non è che poi non risponderà al nostro bisogno di cambiare il paese in maniera forte andando anche contro il sistema?» (quindi è vero, i grillini parlano male come scrivono).

Ma soprattutto l’amletico «Ma non è poi che questo avvocato che oggi non è nessuno diventa un Blair, un Kennedy?» (domanda retorica, chiaramente la risposta è «certo che lo è diventato, grazie a me»). È l’inizio della favola, Eva è diventata finalmente Evita: «Siamo Conte, Trump, Macron e io in una stanza della Regina Elisabetta. E dico: No, aspetta un attimo, ma è vero?». È la stessa domanda che si farebbe Draghi, Rocco. Speriamo che non trovi mai il tempo di leggere Il Portavoce.

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