Da un anno a questa parte i presidenti di regione hanno improvvisamente trovato un ruolo. E che ruolo, perché la durante la pandemia sono diventati gli interlocutori e i terminali del governo centrale.

Questo balzo improvviso sul palcoscenico della politica nazionale  li ha portati a rivendicare una responsabilità diretta nella gestione della crisi sanitaria.

In realtà, come ha ricordato spesso Sabino Cassese, l’articolo 117 della Costituzione riserva allo Stato i compiti in materia di profilassi internazionale e il 120 consente al governo di sostituirsi alle regioni in casi di pericolo grave per l’incolumità. Inoltre la legge 833 del 1978 assegna al ministro della Salute il compito di intervenire in caso di epidemie.

Eppure, alcuni presidenti di regione, in primis il lombardo Attilio Fontana, hanno ripetutamente e a lungo contestato, per ragioni squisitamente politiche, i provvedimenti del governo.

In questi giorni assistiamo ad una nuova fiammata di protagonismo con girandola di dichiarazioni che sconfinano con il delirio di onnipotenza.

Esemplare in questo, ancora un volta, il veneto Luca Zaia, il quale, dopo le allucinazioni visive dello scorso anno quando parlava dei cinesi che mangiano topi vivi, ora, con accenti di sovranismo regionale – «devo difendere la salute dei miei concittadini» – si è buttato alla ricerca di vaccini sul mercato come se la sua regione fosse una nazione indipendente.

Segue, più o meno con gli stessi toni, Stefano Bonaccini anch’egli proiettato alla ricerca di nuove forniture, forse immaginando l’Emilia-Romagna come una grande San Marino.

Infine, entrambi i presidenti si sono trovati uniti nella critica al governo Draghi (o solo al ministro Speranza?) invocando aperture di bar, ristoranti e quant’altro, proprio quando c’è il rischio di una proliferazione di casi per via delle varianti.

Almeno Vincenzo De Luca, deriso per le sue uscite plateali al limite del cabaret, faceva la faccia feroce , anche a costo di scatenare la furia dei pizzaioli, per impedire che i suoi concittadini rompessero le righe.

Questo desiderio di protagonismo, a cui il governo Conte non ha saputo porre rimedio, dovrebbe ora trovare un argine da parte di un esecutivo lodato urbi et orbi per la sua autorevolezza.

Se si vuole vedere un cambio di passo rispetto al passato questo è  “il” terreno sul quale intervenire. Perché la salute è troppo importante per lasciarla all’improvvisazione.

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