«Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» è la domanda dell’alpino Giuanin che torna come un mantra nel libro di Mario Rigoni Stern sulla campagna di Russia, Il Sergente della neve. E’ quasi il filo rosso del racconto dell’autore che, assieme a Nuto Revelli e Giulio Bedeschi, fa parte dei testimoni di quell’assurda guerra in cui il fascismo precipitò l’Italia a fianco dei nazisti.

Tutto il libro è un gemito che invoca la pace e il ritorno a casa, come luogo buono e umano a contatto con la natura.

Tornare a casa ma soprattutto sopravvivere alla neve, al freddo, alla fame. E’ giusto ricordare quelle storie impresse nelle generazioni alpine d’Italia: l’assurda avventura dell’Armir fu un’invasione, la nostra invasione della Russia.

Gli alpini sono forse il corpo militare più amato dagli italiani: non per le armi ma per l’umanità che si sprigiona da quei reparti caratterizzati da un intenso contatto con la montagna.

Lo ribadiamo oggi dopo che il Senato ha approvato un disegno di legge sull’istituzione della giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini, dove all’articolo 1 si rammenta la battaglia di Nikolaewka (quella per uscire dalla sacca in cui era stato chiuso il corpo di spedizione italiano in Russia).

Il testo approvato recita: «Nonché promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale» senza citare mai il fatto che gli alpini furono costretti a sacrificarsi per una guerra ingiusta e sbagliata.

Aprirono la strada di casa per tornare indietro da un’invasione che fu un tragico abbaglio, a dir poco.

Nelle testimonianze di chi la visse, i russi non assumono il volto del nemico ma di un popolo che difende la propria terra. Oggi lo fanno gli ucraini contro i russi, a dimostrazione che nessuno è immune dall’imbarbarimento.

Famosa è la scena in cui il sergente Rigoni Stern, dopo la battaglia, viene sfamato in una isba da povere donne russe assieme ad alcuni soldati dell’Armata Rossa, anch’essi alla ricerca di riparo. Il vero nemico di tutti era il freddo, il gelo.

Ma soprattutto il vero nemico di tutti era la guerra: un assurdo mostro senza volto che divorava vite.

Racconta Rigoni Stern: «In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini, un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini».

Oggi, mentre vediamo il terrore negli occhi dei bambini ucraini sconvolti dalla guerra e abbiamo davanti le immagini delle atrocità, ricordiamo il sacrificio dei nostri alpini senza retorica ma come un grido contro la guerra.

«Finché saremo vivi – scrive ancora Rigoni Stern – ci ricorderemo come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere».

Davanti all’orrore di oggi, quella storia consente anche a noi di tornare a sperare. 

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