Nella sua teoria della comunicazione come paradosso, il sociologo tedesco Niklas Luhmann sosteneva che il silenzio produce una «cesura» che rafforza la chiarezza di un discorso attraverso la distruzione della continuità. Il silenzio è dunque l’essenza della comunicazione indiretta, fondamento della comunicazione strategica che i leader politici producono in ogni frammento del loro agire. La vera leadership, insomma, si esercita dicendo ma anche (e forse soprattutto) tacendo.

Non sappiamo se Vittorio Feltri facesse riferimento a questo quadro teorico quando ha scritto che Mario Draghi funziona perché non va in tv, ma il punto di caduta del ragionamento non può essere troppo lontano.

«Sono convinto che il successo di Mario Draghi dipenda in gran parte dal fatto che egli non frequenta i programmi televisivi classici», ha scritto Feltri martedì su Libero, elogiando il premier che si è immunizzato dal «presenzialismo davanti alle telecamere guidate da insulsi chiacchieroni e chiacchierone».

Il minimalismo comunicativo, dice Feltri, ha aiutato il presidente del Consiglio a evitare di finire nella parabola classica e arcitaliana dei leader. Partono salvatori della patria e finiscono con i forconi sotto il palazzo; nel mezzo, un lungo trituramento di reputazione nella canea dei salotti televisivi. Draghi si è programmaticamente sottratto alla cacofonia del bla bla quotidiano, rigettando il paradigma presenzialista e ultraparlante che ha segnato e in vari casi dilaniato una generazione di politici, da Matteo Renzi a Matteo Salvini. Nel medio periodo la sovraesposizione disintermediata ha offerto loro più danni che benefici.

Draghi esercita il suo potere nel silenzio. Anzi, il silenzio è il suo potere, nel senso che è il tipo di comunicazione indiretta che genera gli spazi della decisione. E il decidere è sempre un recidere, il che s’accoppia bene alla distruzione della rumorosa continuità di cui parlava il sociologo tedesco.

Draghi comunica generalmente in formati controllati e senza contraddittorio. Preferisce evidentemente la ponderata riflessione del discorso scritto alla freschezza delle parole a braccio. Risponde, quando è necessario, con formule di divina brevità, all’occorrenza anche limitandosi ai monosillabi, i soli che sono in grado di porre fine a quasi tutto, perfino a una chat su WhatsApp.

Dall’insediamento a palazzo Chigi ha fatto dodici conferenze stampa e ha concesso una sola intervista. Ha parlato per 4 minuti e 48 secondi alle telecamere del Tg1 sull’Afghanistan, dove la domanda più difficile è stata «l’Europa sarà all’altezza?» che lui ha draghianamente liquidato con «sì, lo sarà», seguito da qualche specifica subito dimenticata.

Il suo stile è efficace e inattuale. Alcuni leader spiegano, attingendo alla pratica pedagogica, altri sbraitano, altri ancora twittano. Il presidente degli Stati Uniti è condannato a parlare continuamente, non può esimersi, perché il suo ruolo pubblico nella vita del paese nel tempo si è esteso a dismisura: è il comandante in capo, il consolatore della nazione, la coscienza civile, la bussola morale, il confessore pubblico, lo specchio dei sentimenti del demos, il predicatore ufficiale e il sacerdote del culto della religione civile.

Draghi non potrebbe essere più lontano da quel modello.

Mistica ignaziana

È sempre un errore sottovalutare l’impronta lasciata nel premier dall’educazione gesuitica. Nella pedagogia e nel discernimento ignaziano il silenzio ha un’importanza decisiva. È nell’assenza delle voci del mondo che Ignazio ascolta la voce di Dio e scrive nella grotta di Manresa gli esercizi spirituali. Nella grammatica dei gesuiti il silenzio è soprattutto la condizione necessaria per prendere decisioni sagge.

Si legge nelle note al testo degli esercizi: «Chi sta così appartato, non avendo la mente distratta da molte cose, ma ponendo tutta l’attenzione in una sola, cioè nel servire il Creatore e nel giovare alla propria anima, può impegnare più liberamente le sue facoltà naturali per cercare con diligenza quello che tanto desidera». Il discorso si può facilmente laicizzare e applicare alla politica, che Draghi affronta evitando di avere la mente distratta da molte cose e, nel limite del possibile, cercando di non aprire bocca.

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