Un sottile piacere si percepisce nella regia di questo secondo round di decisioni per contenere la nuova ondata di contagi.  Il tanto attesto Dpcm lo si paventava dai colori cupi, forse più cupi di quelli del grande lockdown della scorsa primavera.  Ci si attendeva il “coprifuoco” alla francese e altro ancora.

La conferenza stampa di domenica sera da Palazzo Chigi ha sorpreso tutti. Nessun secondo lockdown e nessun coprifuoco. Una raccomandazione a tutti noi di tenere alta la guardia e mettere in atto coscienziosamente le regole che ormai conosciamo a memoria; infine l’imposizione a bar e ristoranti di chiudere le loro attività entro le ore 24 per non riaprirle prima della mattina successiva. Un calendario che è assolutamente nella norma, soprattutto in inverno.

La movida la si farà, quindi, ma stando seduti ai tavoli (e dunque consumando, con felicità dei gestori) invece che per strada e con alcool acquistato a buon mercato. Linee molto generali per scuole (aperte ma a discrezione) e trasporti pubblici (occupazione dell’80 per cento dei posti disponibili), ma con le decisioni specifiche lasciate al governo locale, che meglio conosce problemi ed esigenze del territorio.  In poche parole: l’emergenza è stata decentralizzata.

Il sottile piacere si percepisce anche nel ruolo assegnato agli attori pubblici periferici, che saranno d’ora in poi direttamente sotto i riflettori della critica, molto più di prima. Sembra quasi che Giuseppe Conte abbia voluto riscattarsi dalle critiche che si è attirato nei mesi duri della scorsa primavera, quando perfino la leader della destra, Giorgia Meloni dichiarava alla stampa nazionale ed estera di vivere sotto dittatura. Tutto quel discettare di centralismo, di statalismo e perfino di sovietismo ci ha accompagnato per mesi. E ora?

Ora, molti di questi vecchi critici si fanno critici per opposte ragioni: perché il governo scaricherebbe le responsabilità sui territori, giocando la carta della cittadinanza responsabile.  I sindaci e i presidenti di regione in prima linea, Palazzo Chigi defilato.

I presidenti di regione hanno in questi mesi accresciuto la loro autorità e visibilità spesso entrando in tensione con l’amministrazione centrale nel tentativo di rivendicare un potere decisionale che il governo di Roma sembrava voler loro togliere.

Il Titolo V della Costituzione affida la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e regioni, delineando un sistema di pluralismo di centri di potere che ha ampliato il ruolo e le competenze delle autonomie locali, ma anche la tensione con Roma.  

Con la pandemia, le regioni hanno acquisito un ruolo straordinario. Ebbene, sembra che le critiche di centralismo autoritario abbiano sortito l’effetto di mettere i Presidenti di regione in prima linea, come del resto chiedevano.

Lo Stato si impegna con finanziamenti alla scuola e alla sanità, ma il governo dei territori è messo molto più esplicitamente di fronte alla proprie responsabilità nella gestione delle misure anti-Covid.

Dietro il nuovo decreto aleggia il sentore del tira e molla tra centralizzazione e decentramento, tra Roma e i territori.

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