L’uscita dell’ultimo rapporto dell’Ipcc è come benzina sul fuoco dei cambiamenti climatici. Di fronte alla massa di risultati scientifici convergenti la maggior parte delle posizioni coglie la gravità della crisi e cerca di misurarsi con il cambiamento che si pensa necessario. Si assiste quindi al progressivo spostamento del centro del dibattito dalla diagnosi della crisi alle cure per salvare il pianeta, un fatto di importanza non trascurabile se si pensa a posizioni negazioniste di solo qualche anno addietro e presenti tutt’oggi ma in misura sempre più marginale.

Volgendo lo sguardo al futuro, alla cura per salvare il pianeta, la situazione si complica per almeno quattro elementi:

  • Oltre alle cure sarebbero necessarie misure di prevenzione, molte delle quali sono però ormai fuori tempo;
  • Le incertezze dei modelli previsionali sono superiori a quelle degli studi basati su osservazioni empiriche (i risultati previsionali dipendono molto da quantità e qualità degli “ingredienti” che si inseriscono nel modello);
  • Si accentuano le differenze sul rapporto tra scienza e tecnologia, o – in altre parole sulla fiducia nella tecnologia, anche oltre la scienza;
  • Gli interessi sulla definizione della transizione ecologica, sono crescenti: le attitudini a orientare lo sviluppo da parte delle multinazionali dei combustibili fossili è paradigmatico.

Ci troviamo in una fase storica di snodo su una crisi mai affrontata prima dall’umanità, non affrontabile in termini riduzionisti. Pensare a bacchette magiche tecnologiche potrebbe essere una semplificazione inefficace e a rischio di svolte tecnocratiche non democratiche.

Se si concorda che siamo immersi in un gigantesco esperimento evolutivo in tempo reale, caratterizzato da un rapido avvicinamento tra processi perturbativi ambientali, sociali e sanitari (riscaldamento climatico e pandemia sono facce della stessa medaglia), sembra urgente riflettere di più e meglio sul “tempo”, che non è una variabile di contorno del sistema che è tempo-dipendente.

Tutti i rapporti Ipcc, e l’ultimo in modo più netto, danno centralità al tempo che abbiamo a disposizione: si parla ormai di decenni, una misura del tempo per fare scelte o assistere a effetti progressivamente nefasti, inferiore di ordini di grandezza rispetto al passato.

La scienza post normale

Continuare a leggere la realtà con approccio antropocentrico non solo è inutile ma anche dannoso, perché ritarda il cambio di paradigma necessario se si crede fino in fondo a quanto risulta evidente anche dal report Ipcc sull’urgenza di cambiare modelli di sviluppo e di consumo. Una operazione titanica se non da completare almeno da avviare in poco tempo.

Se è incontrovertibile che gli squilibri ecosistemici e gli sconvolgimenti climatici hanno effetti sociali, occorrerebbe un salto di qualità anche nell’allargamento sociale del dibattito e delle decisioni, senza il quale evocare la resilienza delle persone assume sapore ideologico.

La scienza è sempre più al centro dell’arena e sta fornendo, come nel caso dell’IPCC, risultati e opzioni rilevanti sia per la crescita della cultura scientifica che per prendere decisioni basate su evidenze, sempre che la scienza sia appropriatamente disseminata e ascoltata.

Per fare questo occorrono sedi e luoghi adeguati, in cui i portatori di interessi siano messi in condizioni di contribuire alla ricerca del consenso, anche questo in poco tempo.

In questa luce, assume grande importanza la preparazione della 26esima conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico che si terrà il prossimo novembre a Glasgow.

Anche il mondo scientifico si trova sotto stress, essendo abituato a lavorare e produrre in tempi più lunghi di quelli disponibili.

Se si opera in una situazione caratterizzata da fatti incerti, valori in discussione, interessi elevati in gioco e decisioni urgenti da prendere, ci troviamo in un contesto del tutto particolare, per il quale è stata formulata la proposta di "scienza post-normale" da affiancare alla scienza “normale”, che potrebbe essere di utilità quando siamo di fronte a effetti altamente indeterminati e/o potenzialmente irreversibili.

In un libro famoso negli anni Ottanta l’ecologista Lester Brown aveva usato la metafora «Se lo stagno si ricopre interamente di foglie il trentesimo giorno, quand'è che sarà coperto per metà?”» La risposta è: «Il ventinovesimo giorno»: a conti fatti oggi sembra che il tempo rimasto sia anche meno.

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