L’idea iniziale di Giorgia Meloni (non so quanto condivisa dagli alleati Lega e Forza Italia) era buona, e promettente.

Procedere alla legittimazione/accettazione internazionale del governo e del primo ministro italiano serviva/seve a garantire una navigazione non troppo turbolenta. Era anche funzionale a evitare qualsiasi “ritorsione” dell’Unione europea e ostilità degli Stati Uniti.

Meloni ha efficacemente scelto e accentuato la sua posizione apertamente atlantista. Grazie a numerosi viaggi e incontri con i rappresentanti degli Stati membri dell’Ue ha smussato il suo sovranismo viscerale muovendosi in una direzione che le consente di non essere più o meno informalmente tenuta lontana dai salotti buoni, dalle stanze dei bottoni europei.

Sulla sostanza, però, né Meloni né la Commissione europea possono nascondere le loro preferenze e le loro differenze.

   Purtroppo, per il governo italiano che, forse, se ne accorge troppo tardi, buona parte delle decisioni che contano, dall’immigrazione all’ambiente e al Pnrr, si prendono in maniera formale e informale proprio a Bruxelles.

Inoltre, sembra proprio che anche a Bruxelles leggano i quotidiani italiani, ricevano le notizie su quel che accade nello stivale, su quello che dicono i ministri e i dirigenti dei partiti della coalizione di centro-destra.

Frasi avventate, annunci battaglieri senza seguito, politiche, come quelle sui diritti, contrarie alle posizioni già assunte in sede europea rafforzano quelli che talvolta sono anche pregiudizi che più o meno tutti i governi italiani hanno dovuto (non scrivo dovranno, ma …) subire e segnalano l’esistenza di sospetti non del tutto mal posti.

Affermare che di alcuni ritardi negli adempimenti richiesti entro il 2023 è responsabile il governo Draghi non sembra convincente poiché Giorgia Meloni era più che consapevole di conquistare il governo molti mesi prima della vittoria elettorale.

Più in generale nella maggioranza degli Stati europei le pratiche di scaricabarile non godono di popolarità.

   Se la strategia di spostare l’attenzione degli italiani sulla scena europea per nascondere quel che non va nelle politiche nazionali non funziona, allora ecco che proprio quelle politiche segnalano la loro debolezza di concezione e attuazione che smentiscono il bilancio ottimistico fatto dalla presidente del Consiglio e condiviso dai due partner privi di fantasia e incapaci di progettazione.

Quel che si è visto da ottobre a oggi è la frequente produzione di provvedimenti e decreti inadeguati, più o meno rapidamente corretti e cambiati e di linee dure tanto controverse quanto inapplicabili.

Nessun vanto potrà trarre Giorgia Meloni dalla sua pratica di correggere più o meno profondamente gli errori già fatti (sugli errori prevedibili alzo un velo di riservatezza). Non le riuscirà di nasconderli con richiami identitari di destra. Sarebbe anche peggio.

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