Il terzo polo è un ircocervo nato in fretta con l’ambizione di resistere nel tempo. Sappiamo com’è andata: dopo la rottura tra Azione e Pd (e +Europa), la sfida di ritagliarsi uno spazio non irrilevante tra la sinistra e le destre è certamente ambiziosa.

Poteva non nascere, è stato uno di quegli imprevisti che possono cambiare la storia politica del paese. Già si può dire che con il terzo polo Italia viva ha vinto le sue elezioni: grazie al talento del suo leader sarà presente in parlamento.

Molti descrivono la dialettica del terzo polo come spaccona e prepotente ma è comprensibile per chi vuole emergere in un contesto ingessato com’è lo scenario della Seconda repubblica. Significativa è anche la scelta (molto mediatica) del nome: a onor del vero cronologicamente il “polo numero 3” sono stati i Cinque stelle che però si sono sempre rifiutati di portarne il nome, convinti di rappresentare il nuovo che avrebbe spazzato via tutti i poli.

Per il leader di Azione invece “terzo polo” è accettabile: permette di togliersi di dosso la fastidiosa etichetta di “centro” (che sa d’antico e di insipido) o peggio ancora quella di “moderati”. Il terzo polo non è per nulla moderato ma predilige ricette radicali, risolutive ed efficentiste ai tanti mali italiani, martellandole con convinzione.

Contro il Pd

Né può essere centrista se ciò indica le infinite mediazioni della politique politicienne. Il terzo polo vuole essere “terzo” perché non considera i Cinque stelle (che secondo i suoi piani non hanno ragione di esistere) e cerca il suo spazio a colpi di polemiche contro gli altri due poli. Anzi, attacca in special modo quello rappresentato dal Pd.

C’è una logica: se il terzo polo vuole diventare rapidamente secondo, deve prima abbattere il polo (che considera) più debole, il Pd appunto, dal quale provengono i suoi principali leader. Così se la prende con i democratici non per ragioni personali ma perché pensa di conoscerne bene il funzionamento, le debolezze e le fragilità interne.

Caricarli ogni giorno serve a trasmettere all’elettorato il messaggio che è possibile carpirgli la funzione di partito delle istituzioni e dell’establishment, che tanto sta a cuore al Pd e che la destre non svolgono (Forza Italia l’ha persa; la Lega non l’ha mai avuta; Fratelli d’Italia la potrebbe avere ma ancora non ce l’ha).

È in corso dunque una lotta per il controllo del deep state, incluso il settore privato. Per questo il terzo polo cerca di dimostrarsi più competente, più meritocratico e più decisionista del Pd stesso: cioè più governista. E qui si tocca un limite: il terzo polo è molto attrezzato dal punto di vista tecnocratico, meno dal lato della visione. Si comprende sufficientemente bene come vorrebbe l’Italia di oggi, come la riparerebbe. Non è altrettanto chiaro su come immagina quella di domani.

Il grande aggiustatore

In altre parole il terzo polo si presenta come il grande aggiustatore, il miglior meccanico o ingegnere in circolazione che saprà accomodare le innumerevoli magagne dell’Italia di oggi. Non è poco, si dirà. Tuttavia manca un’idea di società, di convivenza, di tenuta del tessuto umano: quella parte della politica che poggia uno sguardo empatico sugli italiani così come sono.

Il terzo polo assomiglia molto all’esperienza di tecnici di governo, soprattutto se si guarda ad Azione. Gli manca la parte umanista quella che emoziona. Non che il Pd ne abbia molta ma, basandosi su passate culture politiche, ne mantiene l’eco.

L’esempio più lampante è quello del reddito di cittadinanza: per ragioni tecnocratiche e meritocratiche il terzo polo lo avversa a testa bassa, senza percepirne il valore sociale o il messaggio protettivo, né rendersi conto della sua funzione di salvataggio durante la pandemia. C’è un aspetto immateriale ma molto concreto di maternage delle istituzioni che non va disconosciuto: è ciò che gli italiani esprimono negativamente quando dicono “mi hanno abbandonato” o “lo stato mi ha abbandonato”.

Il terzo polo non si rende conto della tragedia dell’isolamento e della solitudine nella nostra società odierna. Tale sua reazione è tipica della cultura liberale e meritocratica (la stessa che non si avvide del pericolo fascismo un secolo fa, come non se ne avvede oggi).

Ma tale cultura (e qui sta il problema politico) ha fallito in molte cose e ci consegna (anche a livello globale) una società più ricca ma certamente più ingiusta, squilibrata e disuguale. Su questo punto ci si aspetterebbe un’autocritica e una revisione del liberalismo (e dell’iperliberismo) che invece non c’è. Tutti dobbiamo molto al liberalismo: lo stato di diritto, la democrazia. Ma senza un pensiero nuovo rischiamo di perdere tutto sommersi dalle disuguaglianze e dai rancori che favoriscono le destre autoritarie.

Come dice papa Francesco: «Non ci si può illudere di rimanere sani in una società malata». Le ricette tecnocratiche non bastano più. Le destre populiste hanno credito perché sembrano (anche se non è vero) più empatiche e vicine al popolo dei forgotten.

Costruire o distruggere

Se il Pd ne fa una difesa d’ufficio troppo debole, il terzo polo deconsidera del tutto il problema. Il terzo polo ambisce a sostituirsi a interi pezzi della politica italiana che addita come obsoleti e irresoluti. In tale critica c’è molto di vero ma anche un pericolo: quello di distruggere senza poter ricostruire.

Come già detto, la leadership del terzo polo è liberale o liberaldemocratica e continua a ragionare con quegli schemi. Ma la realtà ha ampiamente dimostrato che la chimera della “distruzione-creatrice” ha fallito ovunque, in economia come in altri campi.

Purtroppo il nostro mondo post globalizzazione è definito dalla fluidità: tutto è instabile e disordinato. Se qualcosa va distrutto (un partito, un paese, uno stato, un pezzo di economia, una cultura, una democrazia, una stabilità politica ecc.) non nasce il nuovo ma resta solo il caos.

Alla distruzione non si sostituisce un bel niente: la storia, l’economia e la geopolitica contemporanee lo insegnano. In chiaro: se il Pd sparisse, nulla lo sostituirebbe ma si creerebbe solo un grande vuoto che – come si sa – si riempirebbe di mostri. Di conseguenza il terzo polo deve stare più attento ai suoi desideri e alle sue mire: sarà utile al paese solo se dimostrerà di saper costruire rinnovando la cultura liberale, non di poter distruggere.

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