La commedia degli equivoci sulla sorte di Autostrade per l'Italia (Aspi) va avanti a ritmo serrato. A definire lo stallo della trattativa tra governo, Cassa depositi e prestiti (Cdp) e Atlantia (la holding quotata in Borsa che controlla Aspi con l'88 per cento) arriva il verbale dell'assemblea degli azionisti di Atlantia dello scorso 30 ottobre.

Il presidente Fabio Cerchiai ha spiegato che cosa è successo con l'ormai celebre Pef, il nuovo piano economico finanziario di Aspi che definisce la dinamica tariffaria per i prossimi 18 anni, e quindi la redditività della concessionaria autostradale.

La proposta di nuovo Pef era stata inviata all'Autorità di regolazione dei trasporti per il previsto parere, obbligatorio ma non vincolante.

Il 14 ottobre il presidente dell'Art Andrea Camanzi ha firmato un documento molto severo che giudicava sostanzialmente troppo generose le previsioni tariffarie, che avrebbero consentito ad Aspi di distribuire mediamente ogni anno 1,16 miliardi di dividendi, una cifra pari a circa il 25 per cento dei ricavi previsti.

Secondo Cerchiai, Camanzi ha chiesto con quel parere sul Pef «modifiche di rilievo, potenzialmente tali da incidere sull'assetto regolatorio e tariffario di Aspi e quindi sul suo valore».

Cerchiai prosegue spiegando che il successivo 22 ottobre il ministero delle Infrastrutture, guidato da Paola De Micheli, recependo le osservazioni dell'Art, ha chiesto ad Aspi "in via del tutto inattesa, di voler integrare e aggiornare la proposta del piano economico e finanziario".

Il punto è sostanziale. De Micheli sostiene che il Pef bocciato da Camanzi era una proposta di Aspi su cui il ministero non aveva alcuna responsabilità, e ha annunciato azioni legali contro questo giornale per aver scritto il contrario. Cerchiai dice l'opposto: «Sono stati in tal modo rimessi in discussione elementi sostanziali che si aveva ragione di ritenere già definiti nel testo degli accordi a lungo negoziati da Aspi con i ministeri competenti».

In effetti la misura degli aumenti tariffari automatici dell'1,75 per cento all'anno era scritta negli accordi con cui il 14 luglio scorso governo e Atlantia hanno iniziato il percorso verso la transazione alternativa alla revoca della concessione minacciata dopo il crollo del ponte Morandi il 14 agosto 2018.

Adesso sta accadendo questo. Cdp, con i fondi suoi alleati Macquarie e Blackstone, ha offerto per Aspi un prezzo tra 8,5 e 9,5 miliardi. I fondi azionisti di Atlantia (i Benetton hanno solo il 30 per cento) vogliono 11-12 miliardi. Ma il prezzo sarà definito dal Pef. I tecnici del ministero e di Aspi stanno già trattando. Ma devono percorrere un sentiero strettissimo.

Se il ministero imponesse un Pef molto più severo di quello concordato durante l'estate, il prezzo di Aspi scenderebbe a livelli inaccettabili per Atlantia. Se invece le correzioni fossero omeopatiche e indolori per Atlantia, De Micheli dovrebbe spiegare le ragioni della stangata alla maggioranza, al Movimento Cinque stelle in particolare, e agli automobilisti. Secondo Camanzi l'aumento annuale delle tariffe dovrebbe scendere dall'1,75 per cento almeno all'1,08.

Le indiscrezioni di questi giorni parlano di una limatura dall'1,75 all'1,6-1,7. Se fosse davvero così difficilmente potrebbe funzionare.

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