Era nell’aria che arrivasse la sentenza del consiglio di Stato che avrebbe consentito all’area a caldo dell’impianto siderurgico ex Ilva, responsabile dell’inquinamento a Taranto, di continuare la sua attività produttiva. Vince la ragione di Stato ovvero il preminente interesse a continuare a produrre acciaio a Taranto che grazie ai 13 decreti slava Ilva, che sono stati approvati dal 2012 ad oggi, hanno consentito di non rispettare le normative ambientali con impianti fuori norma. Sono i decreti Salva Ilva che hanno introdotto l’immunità penale nel governo Renzi quando Carlo Calenda era viceministro e poi ministro dello Sviluppo economico.

Ancora oggi l’Autorizzazione Integrata Ambientale, modificata nell’ottobre del 2012, è prorogata per effetto di quei decreti. Nel 2018 nella masseria Fornaro si registrarono valori di diossine pari a 7,06 teq picogrammo per metro quadrato die: un aumento pari al 916 per cento rispetto all’anno precedente. Quando nel dicembre 2008 furono abbattuti i capi di bestiame il valore era di 8 picogrammi, mentre nel quartiere Tamburi/Orsini si registrava un valore pari 5,5 picogrammi. Dopo questo picco di diossina la procura di Taranto aprì un’inchiesta che fu fermata dagli effetti dello scudo penale voluto dal governo Renzi.

Il 12 giugno del 2015 morì l’operaio Alessandro Morricella dopo 4 giorni di agonia: era stato travolto da una colata di ghisa incandescente, la procura di Taranto sequestrò gli impianti, ma il ministero dello sviluppo economico di cui Carlo Calenda  era viceministro emanò il decreto 92/2015 che all’art.3 disponeva il dissequestro dell’impianto che aveva provocato la morte a Morricella.

La Corte Costituzionale con sentenza 58/2018 dichiarò illegittimo l’art. 3 voluto dal governo perché violava l’art. 32 e 41 della Costituzione e la preminenza del diritto alla sicurezza sul lavoro. Grazie all’inchiesta della procura di Potenza si scopre che l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo aveva lavorato per addomesticare le inchieste su Taranto a partire da quella della morte dell’operaio Alessandro Morricella per arrivare a dissequestrare l’impianto colpevole dell’incidente mortale.

Chi pensa alla salute di Taranto?

Quale istituzione, quale autorità sta operando a tutela della salute del popolo tarantino? Nessuna, ci ha provato con determinazione il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci ma il Consiglio di Stato ha bocciato la sua ordinanza. Questa sentenza è incomprensibile alla luce delle nuove evidenze scientifiche e sanitarie che sottolineano ancora eccessi di mortalità e di malattie correlate agli inquinanti immessi dall'impianto siderurgico  sul  territorio tarantino. 

L’ultima ricerca scientifica è quella pubblicata il 10 maggio dl 2021 sulla rivista Scientific Reports di Nature. Uno studio che dimostra come il piombo e arsenico prodotto dall’Ilva abbia drammaticamente ridotto il quoziente intellettivo dei bambini e prodotto effetti neurotossici. Alcuni giorni fa è stata pubblicata la valutazione del danno sanitario del ministero della Salute che stabilisce un rischio sanitario/cancerogeno inaccettabile per un produzione a 6 milioni di tonnellate anno di acciaio nell’impianto dell’Ilva: Acciaierie italiane, la società mista Stato-ArcelorMittal vorrebbe portare la produzione ad 8 milioni di tonnellate. 

C’è stata una dura battaglia in questi anni per contrastare chi affermava che l’inquinamento dell’Ilva non faceva male alle persone. L’ex commissario Ilva Enrico Bondi nel luglio del 2013 in una relazione inviata alla regione Puglia scriveva: «è erroneo e fuorviante attribuire gli eccessi di patologie croniche oggi a Taranto, a esposizioni occupazionali e ambientali occorse negli ultimi due decenni». L’Ilva non ha colpe, i fattori responsabili per le malattie e i decessi per tumore a Taranto sarebbero altri: «Fumo di tabacco e alcol, nonché difficoltà nell’accesso a cure mediche e programmi di screening».

Il sindaco che voleva chiudere 

Bondi non è un caso isolato e alcune settimane fa l’attuale ministero per la Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani, nella memoria inviata al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar di Lecce che accoglieva l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci del 27 febbraio 2020, scriveva: «Il Tar Lecce, senza il dovuto approfondimento tecnico e con un giudizio che assume probabilistico, sembra aver valutato, come ormai incontrovertibile un rapporto tra emissioni inquinanti e determinate patologie».

Il ministero ex Ambiente, oggi Transizione ecologica, invece di intervenire per riportare nella norma di legge gli sforamenti e prevedere il monitoraggio di sostanze come naftalene, particolato Pm10 e Pm 2,5, benzene ha prorogato ulteriormente le procedure, consentendo nel frattempo la prosecuzione dell'attività non intervenendo sull’inquinamento.

Poche ore dopo la sentenza del consiglio di Stato si sono succedute decine di dichiarazioni di esponenti politici, di governo e aziendali, che nel tirare un sospiro di sollievo, annunciano che da Taranto partirà la transizione ecologica. 

Che brutta fine ha fatto in Italia la transizione ecologica, un alibi per mascherare operazioni che nulla hanno a che fare con l’ecologia e la tutela della salute. In primis perché in attesa di questa non credibile transizione ecologica, a Taranto si continuerà a produrre con vecchi impianti che immettono inquinamento per le emissioni fuggitive e diffuse o come nel caso della batteria 12 della cokeria che doveva essere messa norma dal 2012 ed ancora oggi non rispetta le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale e su cui il ministro Cingolani non fa nulla se non intervenire al Consiglio di Stato a sostegno di Arcelor Mittal.

Alle istituzioni italiane è mancata, e manca, una visione strategica del futuro dal punto di vista industriale a differenza di quanto fatto a Bilbao, Pittsburgh e la Ruhr dove hanno realizzato imponenti progetti di conversione industriale in chiave ecologica, rilanciando occupazione, economia e tutelando la salute.

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