Quella di Torino è stata bruttina, ma i commenti alle due primarie del Partito democratico, a Roma e a Bologna, grondano di soddisfazione e autocompiacimento. Cercano di fare dimenticare previsioni buie e tempestose, sostanzialmente infondate e la sostanziale incomprensione di che cosa sono e possono essere le primarie.

Anche in questo caso sarebbe utile il mio test d’accesso per chi vuole esprimere valutazioni: quale articolo scientifico, quale libro di analisi delle elezioni primarie, che, incidentalmente, si fanno in molti altri luoghi, ad esempio, in Argentina e in Cile, oltre agli Stati Uniti, hanno letto gli spericolati commentatori/trici?

Certo, le primarie sono un esercizio di democrazia, meglio quando sono impostate, organizzate, condotte in maniera effettivamente democratica.

A Roma il Pd non è abbastanza forte da condizionarle, ma qualche scoraggiamento a altre potenziali candidature era stato mandato. A Bologna il Pd ha prima fatto quasi tutto il possibile per trovare un mitico “candidato unitario” ovvero designato dai potenti. Poi si è buttato a sostegno del candidato preferito dai “maggiorenti” (il piuttosto loquace Romano Prodi incluso) cercando di squalificare l’oppositrice perché “renziana”. Come se il presidente della regione Stefano Bonaccini non fosse stato renziano e lo stesso sindaco Virginio Merola, “ideologicamente” assai volubile, non avesse avuto la sua sbandata renziana.

Adesso, il vincente annuncia la sua apertura alla renziana Conti la quale, opportunamente e nobilmente, ha dichiarato lealtà di voto, ma non vuole farsi fagocitare.

Ci si chiede (notate come pongo la questione) che fine farà il ricorso promosso da tre ex-segretari del partito di Bologna ai probiviri contro gli iscritti del Pd che hanno annunciato il loro voto a Isabella Conti. Lana caprina.
Nelle primarie, naturalmente, conta soprattutto vincere, ma il modo come si vince ammonta a una più o meno bella lezione di politica. La campagna elettorale comunica non soltanto chi sono i candidati, le loro biografie personali, professionali e politiche (quella di Roberto Gualtieri è assolutamente lusinghiera), ma anche che cosa li distingue e che cosa propongono anzitutto all’elettorato della loro aerea politica.

Le primarie diffondono informazioni di stile e di sostanza. Dovrebbero anche, se non si sono manifestate come attacchi personali, in effetti a Bologna c’è stato anche questo (non stendo nessun pietoso velo di silenzio), servire come slancio per la corsa alla (ri)conquista del Palazzo comunale.

Vedo, invece, che, per il momento, il tempo viene impegnato per tirare sospiri di sollievo e per esibirsi sulle vette dell’ipocrisia e della retorica più melensa.

Fermo restando che, in generale, le primarie sono un optional, per il Pd sono uno degli elementi fondanti la sua (peraltro pallida) identità di partito. Di tanto in tanto qualche revenant di “intellettuale” organico ottiene il suo momento di esposizione mediatica con critiche severissime (“masturbazione intellettuale”), spesso infondatissime, alle primarie.

Molto meglio farebbe il Partito democratico a valorizzarle come un procedimento che ha la potenzialità di migliorare la politica del partito e, in senso più lato, italiana ponendo le premesse per l’allargamento del campo del centro-sinistra.

Non soltanto l’allargamento è indispensabile per chi voglia superare il centro-destra, ma consente la mobilitazione delle energie esistenti e l’attrazione di quelle disponibili purché non si sentano manipolate. In sintesi: c’è più di una candidatura? Oportet ut primariae eveniant. Primarie competitive. Il resto è fuffa.

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