La carne coltivata è carne che non ha mai fatto parte di un animale vivo, ma creata a patire da cellule staminali. Non comporta quindi l’uccisione di nessun essere vivente.

Si tratta di un’invenzione di importanza epocale per la storia umana, sia sul piano etico, sia su quello ambientale.

Si pone infatti in diretta alternativa agli allevamenti intensivi, che costringono a vivere in condizioni aberranti miliardi di esseri senzienti e che rappresentano, secondo i nostri attuali criteri morali, uno dei più gravi crimini commessi dall’uomo, frutto dell’estensione delle logiche della produzione standardizzata all’agro-alimentare.

Gli allevamenti intensivi, sia terresti che marini, sono anche uno dei maggiori fattori di inquinamento a livello mondiale, del suolo, dell’acqua e dell’aria, e non producono certo una carne di qualità né salubre, dato quello che a questi animali viene fatto mangiare e che poi finisce nel nostro organismo.

Sul piano etico, su quello ambientale e forse anche per la nostra salute la carne coltivata costituisce quindi un enorme miglioramento.

Ma vietarla è, per il nostro paese, anche un errore economico. Non solo perché si tratta di un mercato che, si prevede, raggiungerà i 450 miliardi di dollari nel 2040, un quinto del Pil dell’Italia.

Una volta «a regime», la carne coltivata non farà concorrenza alle produzioni di qualità, in genere basate sull’allevamento al pascolo e quindi su un trattamento più rispettoso dei diritti degli animali, produzioni di qualità sulle quali dovrebbe far leva il miglior Made in Italy.

Le nostre aziende in prospettiva andrebbero a collocarsi su una fascia più alta del mercato, più redditizia, da buon paese avanzato quale noi dobbiamo essere.

Della carne coltivata, in Italia ne beneficerebbero quindi le condizioni ambientali, a partire dalla pianura Padana, la vita degli animali, e anche la specializzazione della filiera agro-alimentare, cioè la nostra economia.

Se questo è il quadro, scoraggiano le posizioni sul tema non solo del governo, ma delle forze produttive, Coldiretti in testa, e di larga parte dell’informazione.

Come per la conversione all’elettrico, e forse ancora di più, l’Italia si mostra largamente impreparata ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo, anche sul piano culturale: avviata quindi sulla strada del declino, inseguendo convenienze di breve periodo.

Perfino una parte dell’opposizione sbaglia a derubricare questi temi come di scarsa importanza (non lo sono!), o a fare leva solo su un’inaccettabile ingerenza del governo nelle scelte dei cittadini o nelle dinamiche del mercato (vero).

Finendo per consolidare gli allevamenti intensivi, il divieto della carne coltivata è una scelta dannosissima sul piano ambientale e crudele sul piano etico. E una scelta di politica industriale che va contro l’interesse nazionale.

© Riproduzione riservata