Dovremmo a breve riaprire le scuole e dare un segnale. Crediamo sia urgente: la scuola nel mondo è accerchiata da mille difficoltà e il diritto allo studio è sempre più a repentaglio. Nei casi più tragici la scuola è direttamente sotto attacco.

Abbiamo ancora negli occhi troppe vicende: la violenza dei Boko Haram in Nigeria contrari alla scuola anche nel loro nome (significa l’educazione è vietata); la strage dell’università keniana di Garissa del 2015; il massacro di fanciulli a Beslan in Ossezia del 2004; le ripetute carneficine di studenti in Somalia, Afghanistan e Pakistan; l’eccidio degli studenti messicani del 2014; gli attacchi armati nelle scuole americane; le ecatombi di scolari in Siria dove dal 2011 quasi tutte le scuole sono state distrutte, e così via fino all’atroce massacro di bambini della povera scuola elementare di Kumba in Camerun.

Tutto questo sangue versato da giovanissimi innocenti ci dice che è in atto una strategia maligna e globale: dovunque la scuola è attaccata e la si vuole eliminare. E’ la prima cosa che si fa in guerra, la cosa più facile ma anche l’atto più devastante: distruggere una scuola e uccidere gli studenti significa sopprimere l’avvenire. Ogni volta ed in ogni luogo in cui erompe la violenza o sale la tensione, il bersaglio selezionato è l’educazione.

Ordinare la chiusura delle scuole (da parte di eserciti regolari, ribelli, nazionalisti, rivoluzionari o jihadisti che sia) è primo segnale ai civili di andarsene.

La scuola infatti è impronta di radicamento e integrazione: vale in Africa, vale nelle nostre periferie urbane occidentali, vale ovunque. Educare determina un’irriducibile emancipazione per tutti, senza distinzioni. Significa futuro. Anche l’orribile assassinio di Samuel Baty nei sobborghi di Parigi fa parte della guerra contro l’educazione.

Oltre la guerra anche la pandemia di Covid attacca la scuola, come era già successo con altre epidemie, la indebolisce e la chiude.

La serrata degli istituti riduce le opportunità di intere generazioni, lascia indietro i più deboli che non potranno recuperare nemmeno con l’educazione a distanza, crea una voragine tra ceti e tra paesi. Interrompere le scuole significa produrre generazioni perdute. Tutto ciò avviene in maniera quasi insensibile ma non per questo meno grave.

D’altronde è difficile parlare di emergenza educativa. Un’emergenza di altro tipo salta immediatamente agli occhi: una pandemia provoca l’emergenza sanitaria; un’alluvione o un terremoto sono un’emergenza ambientale; una crisi finanziaria fa scattare l’emergenza economica e così via

Per questo vengono convocate riunioni internazionali, si dibatte nei fori globali, si istituiscono fondi speciali. Per l’educazione non accade niente di tutto questo: non c’è mai un evento acuto che la porti in prima pagina. Dobbiamo fare di tutto per salvare le nostre scuole e il mestiere dell’insegnante, il più nobile fra tutti.

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