Nel declino italiano di questi decenni l’opportunismo della politica ha giocato un ruolo decisivo. Praticato a volte anche dal centro-sinistra, è stato la caratteristica distintiva del centro-destra: si pensi alla stagione berlusconiana, poi alla parabola di Salvini e, almeno a giudicare dalle proposte economiche, alla recente crescita di Meloni. Si tratta di una linea elettoralmente vincente, nell’immediato. Gli italiani apprezzano.

Nel 2006, nell’ultimo duello televisivo con Prodi, in chiusura e senza possibilità di replica, Berlusconi propose a sorpresa, e senza curarsi delle coperture, l’abolizione dell’imposta sulla prima casa: a momenti pareggiò le elezioni, dopo cinque anni di governo disastrosi e dopo che tutti i sondaggi lo davano largamente perdente. Quando poi Berlusconi tornò al governo quell’imposta l’abolì davvero.

Toccherà a Monti ripristinarla, per salvare il paese dal default, in un forma più leggera e soprattutto più progressiva (salvo il fatto che i valori catastali non erano aggiornati). Ma con Monti, non a caso, la strategia opportunista faceva nuovi proseliti: galvanizzava i Cinque stelle, avrebbe presto contagiato il Pd. Renzi, da premier, abolirà di nuovo l’imposta sulla prima casa.

Guai oggi anche solo a parlare di redistribuire il carico fiscale, tassando meno alcuni ma qualcun altro di più: le tasse si abbassano e basta! Nessun partito parla più di ripristinare un’imposta sulla prima casa (che pure esiste nella gran parte dei paesi avanzati), nemmeno in una versione ultra progressiva che esenti la gran parte degli italiani: il tema è tabù.

La battaglia sull’adeguamento dei valori catastali è stata vinta dal centro-destra, che non vuole utilizzarli nemmeno per adeguare il nostro welfare a elementari criteri di correttezza, prima ancora che di giustizia.

E la riforma fiscale sta partorendo un topolino, che non sanerà in modo coerente le distorsioni accumulatesi nel tempo e che pare ignorare il grande tema globale, particolarmente attuale per l’Italia: spostare il peso della tassazione dal lavoro, sempre più debole, sulla rendita e sui capitali.

In questo contesto, l’accanita difesa da parte di tutto il centro-destra dei privilegi di 30mila concessionari balneari è solo un altro esempio, forse nemmeno il più importante.

Sperare di rimediare all’opportunismo facendo ricorso, sistematicamente, alle virtù dei governi tecnici rischia di rivelarsi illusorio, o addirittura pericoloso.

I governi tecnici non possono curare il male e anzi alla lunga, per reazione, rischiano di alimentarlo (come infatti è avvenuto).

Deve essere invece la politica a cambiare. Ma il cambiamento della politica va di pari passo con l’assunzione di responsabilità da parte degli italiani, con il loro voto: i cittadini sono dentro il problema esattamente come i partiti e la classe politica.

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