Nelle sue dichiarazioni a caldo a seguito della tragedia di Crotone, dove un centinaio di persone hanno perso la vita, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto molte cose inaccettabili, chiamando «irresponsabili» i morti e colpevolizzando loro partenza, ma ha anche detto una verità innegabile: le rotte mediterranee sono pericolose.

Si tratta di una verità incontrovertibile, e le affermazioni sarebbero condivisibili se ci fossero altre modalità per partire. Che però non esistono, se non per pochissimi e in limitate circostanze. Perché se ci fossero davvero alternative al viaggio, allora forse si potrebbe ragionare sulla scelta del mezzo.

Dal 1988 ad oggi, nessuna delle rotte marittime ha interrotto i suoi flussi e i - tantomeno - i naufragi.

L’unica parentesi umanitaria è stata quella dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, quando l'allora governo Letta, sulla scia emotiva dei due naufragi del 3 ottobre (368 morti) e dell'11 ottobre 2013 (nota come la strage dei bambini, con 286 persone annegate), introdusse l'unica vera operazione umanitaria gestita dalle forze della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare italiane: Mare Nostrum.

Un'operazione che non annullò completamente le morti, ma le ridusse sensibilmente. Aumentando però gli arrivi. Un'operazione che pur tamponando (coraggiosamente) i rischi della rotta, non era riuscita a permettere gli spostamenti sicuri con titoli legali di viaggio.

Da Mare Nostrum alle stragi

Victims of a migrants boat shipwreck lay in state in a sports centre where they were taken, in Crotone, southern Italy, Tuesday, Feb. 28, 2023. Rescue crews searched by sea and air for the dozens of people believed still missing from a shipwreck off Italy's southern coast that drove home once again the desperate and dangerous crossings of migrants seeking to reach Europe. (AP Photo/Valeria Ferraro)

L’insostenibilità economica di Mare Nostrum e l'onere sull'Italia del confine mediterraneo porta al ribaltamento della logica: dal soccorso alla protezione dei confini, con Triton, che restringe lo spazio di soccorso. Un cambio ha come effetto un nuovo naufragio il 18 aprile 2015 (900 dispersi presunti).

L’estate 2015 si caratterizza per una diversa visibilità della migrazione che passa da marittima a (prevalentemente) terrestre, con la rotta balcanica.

A settembre 2015, al largo delle coste di Bodrum viene ritrovato il corpo di un bambino annegato di due anni: Alan Kurdi.

Di nuovo, un momento di commozione collettiva porta ad un’apertura europea e una sospensione dei limiti del regolamento di Dublino. Cambia il sentimento europeo, e vengono duramente criticate le politiche nazionaliste di Orban sulla rotta balcanica.

Uno slancio che ha però vita breve, interrotto con un’ondata di emotività opposta all’indomani degli attentati di Parigi e Bruxelles con un cambio di passo tra il 2016 e il 2017: chiusura dei confini  e delega ai paesi terzi della gestione delle partenze, con gli accordi libici e turchi.

I principi in contrasto

Foto: Antonino Durso/LaPresse Cutro, Italia 01-Marzo-2023 I familiari delle vittime del naufragio visitano il palazzetto con le bare e svolgono operazioni di riconoscimento Nella foto Il Vescovo il Prefetto e le altre autorita' alla camera ardente

Le persone, però continuano a partire. L’Europa, invece tentenna: tra ambiguità politiche dei suoi membri e contraddizioni proprie del modello di gestione della migrazione, che oscilla tra due principi contraddittori: il principio di "non refoulement" che garantisce la protezione per chi rientra nel paradigma umanitario del non respingimento, ossia i potenziali rifugiati (senza però tutelarne il viaggio) e  il principio di "non entrée" ossia la protezione dei confini e dei territorio e il respingimento degli indesiderati.

Si tratta di due principi chiari sulla carta, ma indistinguibili nel reale. Il primo, segue il moralismo umanitario, ossia la subordinazione dell'apertura dei confini ad una condizione di vulnerabilità vittimaria dei soggetti in cerca di protezione.

Il secondo, invece, è "lo spettacolo del confine" ma è anche la logica dell'umiliazione e dell'inclusione differenziale che subordina gli stranieri, seguendo le pratiche razziste della gerarchia dei passaporti, dei lavori, delle persone.

Un modello invariato a prescindere dal colore del governo. Se non altro, il governo Meloni, tramite Piantedosi, ha tolto ogni spazio di ambiguità dicendo l'indicibile.

Le alternative possibili 

A man walks to pose for pictures among hundreds of lifejackets scattered on Vauxhall Beach on the bank of the Thames in London Thursday, Sept. 15, 2016, in an installation organized by UK charities ActionAid and Islamic Relief to highlight the perilous journey across the Mediterranean undertaken by refugees fleeing war-torn countries. The charities say that just over a year after the death of three-year-old Syrian refugee Alan Kurdi children are still dying despite promises made by governments and institutions. (AP Photo/Tim Ireland)

In questi giorni di commozione che tanto somigliano alle commozioni precedenti, forse dovremmo interrogarci su quali siano le alternative possibili. Perché, nonostante gli oltre 30.000 morti nel Mediterraneo dal 1988, le persone partono: per cambiare vita, per avere più chance.

Anche gli italiani partono, molto più di coloro che arrivano. E partiranno sempre di più. Perché il cambiamento climatico sta già rendendo inabitabili parti del globo.

Perché le risorse sono sempre più concentrate in pochi territori. Perché la migrazione è connessa alla condizione umana. E perché c'è domanda di lavoro, nelle case, negli ospedali, nel mercato delle piattaforme.

Siamo pronti ad immaginare un mondo di viaggi legali? Perché questo sarebbe possibile, e magari renderebbe anche gli spostamenti meno fatali. Perché le persone si spostano e si sposteranno, nonostante le nostre politiche scellerate.

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