Il disastro della X-Press Pearl è la storia ambientale più importante del momento. Siamo ancora in quella fase in cui sappiamo di essere di fronte a una catastrofe ma non è ancora chiara la scala di questa catastrofe. È sicuramente il peggior evento di questo tipo nella storia dello Sri Lanka, la principale preoccupazione non è più evitare i danni causati dalla perdita del cargo, in parte composto di materiali nocivi, ma arginare una «oil spill», la dispersione del carburante della X-Press Pearl, di un tipo così tossico da essere già vietato per la navigazione nelle acque di Artico e Antartide.

L'incidente è stato causato da un incendio a bordo. Dopo giorni a combatterlo si sono perse le speranza di salvare la nave, che era ancorata al largo di Colombo e stava aspettando di entrare in porto. Cosa è successo? X-Press Pearl batte bandiera di Singapore, era partita il 15 maggio da Hazira, in India, a bordo c'erano 81 container di merci pericolose, tra cui 28 tonnellate di acido nitrico, la cui perdita ha causato il rogo.

Sulla nave c'erano anche 80 tonnellate di plastica non biodegradabile in formato pellet, microplastiche che una volta disperse nell'ambiente vengono ingerite ed entrano nella catena alimentare.

Da giorni gli oltre 5mila pescherecci dell'area non possono più uscire in mare: pesca e turismo sono le attività economiche più minacciate da questo disastro. Le palline di plastica stanno arrivando sulle spiagge, le autorità hanno ordinato di non toccarle, potrebbero essere contaminate dagli agenti chimici.

Questa parte del disastro non può più essere arginata, al momento l'orizzonte di intervento è evitare che le 300 tonnellate di carburante finiscano tutte in mare.

X-Press Pearl era in ogni caso una delle tante bombe ecologiche galleggianti che transitano ogni giorno sugli oceani, il 10 per cento delle 5300 navi cargo del mondo trasportano materiali pericolosi come quelli persi davanti a Colombo.

Il disastro in slow motion

Gli eventi dello Sri Lanka sono anche un buon modo per ricordarci un disastro in slow motion che si sta preparando da anni al largo dello Yemen. FOS Safer è una vecchia petroliera arrugginita abbandonata al largo dello Yemen, con più di un milione di barili di petrolio a bordo, a 6 chilometri dalla costa di un paese affetto da una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Greenpeace ha chiesto l'intervento delle Nazioni Unite, segnalando che la FSO Safer potrebbe spezzarsi o esplodere in qualsiasi momento, causando una perdita di petrolio tra le dieci peggiori della storia, quattro volte più grande del disastro Exxon Valdez in Alaska del 1989. La petroliera Safer era ancorata nel Mar Rosso meridionale come unità di carico e scarico, da quando è scoppiata la guerra non viene fatta più manutenzione, nessuno conosce lo stato dei sistemi di sicurezza a bordo.

La situazione della Safer è politicamente molto delicata, l'area è controllata dagli Houthi, che hanno in mano i porti di quel tratto di costa sul Mar Rosso, l'Onu ha chiesto il permesso di intervenire, che a quanto pare non è stato ancora concesso.

Già un anno fa un'inchiesta della Associated Press aveva mostrato come l'acqua di mare fosse entrata nei motori, danneggiando le tubature e aumentando il rischio che la nave affondi.

Sarebbe un disastro ecologico e umanitario di proporzioni immani, non solo per il carico di petrolio a bordo, ma perché un collasso dell'area di pesca renderebbe ancora più precario l'accesso al cibo di 670mila persone in un territorio che già oggi soffre di una enorme insicurezza alimentare. In caso di incendio, l'aria diventerebbe irrespirabile non solo per tutta la popolazione dello Yemen ma anche per quella dell'Arabia Saudita oltre confine.

La Safer è una bomba, sappiamo che la miccia è innescata, non sappiamo quanto è lunga e quando succederà qualcosa di terribile. C'è ancora una finestra di tempo per intervenire, non sarà aperta a lungo. 

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