Nella giornata del 7 ottobre è andato in onda un intreccio normativo, con provvedimenti diversi - decreto legge, delibera di proroga dello stato di emergenza, decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm) - e relative prescrizioni non sempre distinti chiaramente. Serve reperire i pezzi del puzzle, per fare gli incastri giusti.

Il 7 ottobre sarebbero scadute le misure per «contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19», disposte con il Dpcm del 7 settembre scorso, quindi serviva rinnovarle. Nella stessa giornata occorreva una fonte normativa che autorizzasse Conte a prevedere il nuovo obbligo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (mascherine), cui si era deciso di ricorrere per arginare il contagio: la “base giuridica” sulla quale egli aveva finora emanato i Dpcm (d.l. n. 19/2020, da ultimo modificato con d.l. n. 83/2020) non gli consentiva di disporre questa nuova misura.

Sempre il 7 ottobre la Camera doveva pronunciarsi sulla proroga dello stato di emergenza, a seguito dell’informativa del Ministro della Salute, Roberto Speranza, dopo che nella giornata del 6 era mancato il numero legale, a causa delle assenze per quarantena.

Il problema era stato poi risolto con una decisione della Giunta per il regolamento: i parlamentari in isolamento sono da considerarsi “in missione”, con conseguente abbassamento del quorum per il voto.

È vero che lo stato di emergenza sarebbe scaduto il 15 ottobre, ma serviva prorogarlo in tempo utile per protrarre anche il potere di Conte di emanare Dpcm, che finora è stato temporalmente collegato alla durata dell’emergenza stessa.

Il 7 ottobre, dunque, era una data-imbuto. Cos’è accaduto, dunque, in quella giornata?

Innanzi tutto, la Camera ha approvato la risoluzione della maggioranza che impegnava il governo a «disporre la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021», quindi il Consiglio dei Ministri, con delibera ai sensi del cosiddetto Codice della Protezione Civile (d.lgs. 1/2018), ha prorogato tale stato.

Nella stessa data, il governo ha emanato un decreto-legge (n. 125/2020) che, tra le altre cose, nell’ambito delle misure che il presidente del Consiglio può prescrivere per evitare la diffusione del Covid-19, inserisce l’obbligo di avere sempre con sé la mascherina, e comunque di indossarla, salvo alcuni casi.

Il 7 ottobre sarebbe scaduto anche il Dpcm del 7 settembre, ma forse pretendere che Conte nella stessa giornata emanasse un Dpcm nuovo, per reiterare misure previgenti e introdurre quella ulteriore delle mascherine, sarebbe stato troppo.

Peraltro, aspettare qualche giorno aveva il vantaggio di consentire al presidente del Consiglio di rivalutare la situazione epidemiologica prima di nuove prescrizioni. E così il 7 ottobre non c’è stato un nuovo Dpcm di Conte, ma il governo con il decreto-legge citato, da un lato, ha esteso la validità delle misure del Dpcm del 7 settembre fino al prossimo Dpcm, comunque non oltre il 15 ottobre; dall’altro lato, ha reso subito operante fino alla stessa data l’obbligo delle mascherine, misura che poi Conte avrà facoltà di prescrivere.

A parte la non chiara formulazione - tra facoltà del presidente del Consiglio e obbligo dei cittadini - la norma sulle mascherine presenta alcune criticità: sin d’ora vanno sempre portate appresso e indossate «nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui (…) sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi».

Chi potrà assicurare «in modo continuativo» che non si imbatterà in nessun altro, anche se cammina in uno spazio apparentemente deserto? Nessuno, com’è ovvio. Ma lo si è scritto lo stesso, e questo è un modo sconsiderato di legiferare: si pone un obbligo (mascherine) e al contempo si offre un alibi poco plausibile per derogarvi (condizione di isolamento), così che coloro i quali (forze dell’ordine) dovranno far rispettare la misura potranno esercitare la discrezionalità più ampia, spaziando tra regola ed eccezioni.

Questa è la matassa sbrogliata, tirando le fila, eppure si potrebbe dire che essa ora appare più ingarbugliata.

Se è vero che l’ignoranza della legge non è una scusante, quali scusanti ha un governo nel creare una situazione normativa che, se è difficile da dipanare per un giurista, sicuramente non è facile da comprendere per tutti gli altri? Il garbuglio sopra districato può forse definirsi certezza del diritto?

La confusione è grande, e al momento solo questo è certo.

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