L’esplosione delle bollette del gas sta facendo emergere il conflitto tra i diversi interessi delle imprese italiane, ma anche quelli di interesse nella grande partita della tassonomia europea e degli investimenti per la transizione ecologica. Da settimane sul giornale di Confindustria, il Sole 24 Ore, e su altri che beneficiano di generose sponsorizzazioni da parte di Eni, è in corso una campagna che riconduce tutti i problemi agli errori commessi in questi anni per colpa degli ambientalisti e dell’Europa.

Le tesi sono ardite: la realizzazione di nuove centrali nucleari è stata impedita da una «regolazione ambientalista-rigorista, con annesso principio di precauzione». Altrimenti ora non staremmo in questa situazione. E per il futuro dobbiamo guardarci da quei governi che hanno dentro gli ambientalisti, perché vogliono impedire l’accesso alle risorse del green deal Ue alle «48 nuove centrali a gas ai nastri di partenza».

Un primo risultato è stato ottenuto, con la presa di posizione di Matteo Salvini e Carlo Calenda che gridano al complotto europeo e chiedono al presidente del Consiglio Mario Draghi di farsi sentire con Bruxelles.

Le difficoltà che le imprese italiane stanno attraversando per via di aumenti delle bollette senza precedenti sono serie, ma questo modo di rappresentarle rischia di produrre risultati pericolosissimi.

Nessuno ha la bacchetta magica, perché si è in balia di dinamiche geopolitiche complicatissime rispetto alle quali possiamo solo sperare che si risolvano e intanto ridurre, come sta facendo il governo, l’impatto sociale ed economico.

Di sicuro per le piccole e medie imprese – come per le famiglie - l’unico scenario che potrà davvero essere risolutivo è quello che porta alla riduzione dei consumi di gas, grazie alle alternative che oggi esistono nell’autoproduzione dal solare, in contratti di acquisto di energia da rinnovabili, in modelli integrati di gestione efficiente di impianti e edifici, di accumulo dell’energia.

Questa prospettiva oggi è sempre più competitiva ma è avversata da quelle grandi imprese che il gas invece lo estraggono, distribuiscono, trasformano in energia elettrica. Il conflitto tra interessi è quanto mai evidente e segnerà i prossimi anni.

Quello che stupisce è la scelta di campo comunicativa contro le rinnovabili che continua incessante, perché rischia di avere effetti dannosi e persino caricaturali. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, uno dei principali consulenti delle imprese dell’oil and gas, lo troviamo un po' ovunque nel portare avanti la crociata e le descrive come «milioni di piccole unità, per lo più vento e sole, che sono però intermittenti e che creano grande confusione sulle reti».

Coltivare dubbi

Ma è possibile che tutto il mondo abbia preso un grande abbaglio, governi e investitori privati compresi, e che le rinnovabili siano inaffidabili e si debba piuttosto puntare su gas e nucleare (che, garantiscono, ha superato i problemi di sicurezza e di smaltimento delle scorie), smettendola con la decarbonizzazione e la lotta al climate change?

Quello che interessa davvero è approfittare della situazione per alzare una cortina di fumo, coltivare dubbi e quindi rallentare, facendo prevalere l’idea che sia meglio aspettare quando saranno finalmente disponibili le centrali nucleari di quarta generazione, la cattura e stoccaggio del carbonio, l’idrogeno in colorazioni varie. Tesi che vengono accompagnate con storie del tutto false, ma che servono nella narrazione.

Come quella per cui per colpa della tassonomia green prevista dall’Europa non ci saranno fondi per finanziare le nuove centrali a gas, quando invece quegli impianti fossili potranno accedere ai ricchissimi incentivi prelevati dalle bollette dei cittadini italiani attraverso il capacity market.

In questa situazione di incertezza rafforzata ad arte si amplia la distanza tra le imprese che scelgono comunque di investire in scelte green, perché si preparano al futuro, e chi invece le rinvia, perché ha paura e preferisce aspettare. Tra i partiti e dentro il mondo delle imprese è arrivato il momento di scegliere da che parte stare in questo conflitto tra interessi economici e industriali, tra visioni del mondo e dei processi di innovazione, che segnerà profondamente il destino del Paese.

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