Mentre i padrini dettano legge, c’è una destra al governo che usa la commissione antimafia come una clava politica per regolare conti con il passato. Non sappiamo chi abbia innescato l’ordigno contro Ranucci. Ciò di cui però siamo certi è che da molti anni il clima contro i cronisti è diventato saturo di odio, e il potere getta benzina sul fuoco
La linea è stata oltrepassata. Con l’ordigno che ha fatto esplodere l’auto del giornalista Sigfrido Ranucci ogni alibi svanisce: in un tempo di ferocia inaudita, il lessico utilizzato nei confronti di chi fa informazione è il combustibile sparso che aspetta la scintilla per infiammarsi. L’ordigno è simbolo di tale ferocia puntata come una lupara contro il giornalismo. Non tutto il giornalismo. Non contro quel giornalismo che piace al potere, quel giornalismo accovacciato al caldo di chi comanda. Quel, tipo di informazione è al sicuro, protetta.
Chi oggi è obiettivo è indicato pubblicamente come tale. Delegittimato, solo perché ciò che racconta non piace al potere, ai poteri di ogni genere: sia esso politico, criminale o finanziario (a volte capita di trovarli alleati questi tre poteri).
Non sappiamo chi, quale mente, e che mani abbiano innescato l’ordigno contro Ranucci. Ciò di cui però siamo certi è che da molti anni il clima contro i cronisti è diventato saturo di odio. È scontato: nelle prossime ore ascolteremo la solidarietà di tutta la politica, di tutto il mondo dell’informazione. Solidarietà sarà espressa anche da chi non tollera il giornalismo che svela le trame. Anzi lo accusa di ogni nefandezza.
Più che della forma di una solidarietà utile solo per entrare nel flusso dei social, sarebbe più utile in futuro evitare di additare i giornalisti come pericolosi terroristi che desiderano destabilizzare la nostra Repubblica.
Ma chi è davvero a desiderare un punto di non ritorno, un caos utile a ristabilire l’ordine. Chi ha interesse a lasciare che il paese somigli a un Narco Stato, dove i cronisti ancora rischiano la vita nel testardo compito di cercare la verità. Iniziamo a prendere sul serio i dati raccolti da Ossigeno per l’informazione sulle intimidazioni e minacce nei confronti dei giornalisti. Parliamo di migliaia di casi all’anno.
I fatti, prima di tutto, sempre. Se si perdono di vista quelli e si finisce nel campo delle vanità sarà impossibile fare i conti con un paese dove convivono le due organizzazioni mafiose più potenti nel pianeta. Lo abbiamo rimosso: ma i clan non dimenticano, le cosche vivono di silenzi e indifferenza. E mentre i padrini dettano legge e evolvono le loro holding criminali, c’è una destra al governo che usa la commissione antimafia come una clava politica per regolare conti con il passato senza interpretare le future strategie del crimine organizzato.
Partire dai fatti, ancora una volta. Per capire che la storia si ripete in Italia più spesso di quanto crediamo: sono tornati di attualità quei servizi segreti divisi in bande, che dipendono da altrettante bande politiche, al servizio del potente di turno e non della democrazia in quale tale. Sì dice: paese con la memoria corta. Non è che è la memoria che è corta. È piuttosto una tendenza italiana a non disturbare. Rompiamo questa routine e facciamo rumore.
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