A proposito della stretta tedesca contro la formazione di Weidel & co: quando i partiti dell’estrema destra europea contano sul sostegno di superpotenze massimamente interessate alla diffusione capillare e su vasta scala di idee polarizzanti e para-eversive, le istituzioni democratiche sono giocoforza chiamate a contromisure forti
Tra le molte guerre non dichiarate, una è la più obliqua e ineffabile: la militanza democratica di alcuni Stati europei contro i partiti estremisti. In questo conflitto, la battaglia più recente ha riguardato la classificazione di Alternative für Deutschland (AfD) come partito di estrema destra, potenzialmente incompatibile con l’ordine democratico, mossa che consente alle autorità tedesche una più occhiuta attività di sorveglianza.
A pochi mesi dal controverso intervento della Corte costituzionale romena sulle presidenziali del 2024, questo ulteriore passaggio sembra iscriversi nell’arco di una vigorosa strategia di contenimento delle forze di destra.
Non che per la Germania l’approccio muscolare risulti inedito. Come per reazione alla disgraziata leggerezza con cui la Repubblica di Weimar si lasciò conquistare dal partito nazionalsocialista per via elettorale, già dai primi anni del Secondo dopoguerra la Corte costituzionale federale aveva posto limiti rigidissimi all’attività dei partiti. Nel 1956, i giudici di Karlsruhe dichiararono il loro sempiterno impegno nei confronti di una militanza democratica che rifiutava qualsiasi posizione di neutralità nei confronti dei partiti anti sistema.
Per “militanza democratica” s’intende quella serie di misure amministrative e giudiziarie mediante cui le istituzioni di uno stato democratico restringono i margini di libertà di individui e gruppi che vengono classificati come pericolosi per l’esistenza stessa dello stato. Si tratta di individui e gruppi che, apertamente o in segreto, fanno uso degli strumenti messi a disposizione dalle istituzioni democratiche per raggiungere l’odioso obiettivo di smantellare quelle stesse istituzioni.
La posizione di quanti sostengono la democrazia militante è da sempre radicale e stentorea: non è ragionevole consentire ai nemici delle istituzioni di farsi scudo delle tutele universalmente garantite dallo stato di diritto per demolire lo stato di diritto. Detto altrimenti, la democrazia non può concedersi il lusso di essere democratica con chi democratico non è.
Se negli ultimi decenni questa postura engagée si era ammorbidita, le attuali circostanze impongono una nuova levata di scudi. La necessità di uno scrutinio vigile della vita interna ed esterna dei partiti riemerge infatti con vistosa urgenza, dacché una sorta di “internazionale conservatrice”, che occhieggia alla destra più oscena, va consolidandosi lungo l’asse dell’Atlantico, difesa da novelli Voltaire come JD Vance e Marco Rubio.
Quando i partiti dell’estrema destra europea contano sul sostegno di superpotenze massimamente interessate alla diffusione capillare e su vasta scala di idee polarizzanti e para-eversive, le istituzioni democratiche sono giocoforza chiamate a passare al vaglio ogni dichiarazione, assunto e presa di posizione.
La partecipazione al gioco democratico presuppone il rispetto per le regole del gioco: quando questo rispetto viene meno, il gioco finisce.
Non stupisce tuttavia che i critici di un tale approccio ridestino un timore già avanzato da un passionario democratico come Hans Kelsen proprio al capitolare di Weimar: una democrazia che pone limiti a un partito, solo perché l’ideologia di questo non piace alla maggioranza del paese, non può considerarsi una democrazia.
Ma c’è di più: con un tragico e imponderato effetto di ritorno, quei limiti, posti in piena coscienza a difesa della democrazia, potrebbero un giorno essere utilizzati proprio contro chi li aveva posti. Come accade oggi in Turchia, il bronzo risonante della militanza democratica inguaina spesso il pugno duro del governo.
La questione che interroga tutti, quindi, concerne l’efficacia prima che la giustizia: davvero si pretende di fermare l’ondata para-eversiva con il tintinnar di manette? Non c’è il rischio che il contenimento consenta ai leader anti sistema di presentarsi come martiri della libertà di parola? Ci ritroviamo dunque con un dilemma pienamente weimariano, nella speranza, persino direi fiducia, di potervi trovare una soluzione meno fatale.
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