C’è chi sostiene, con qualche ragione teorica, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendo al parlamento di sostenere il governo di Mario Draghi «senza una precisa formula politica» abbia un po’ sospeso la democrazia. Ma le manovre di questi giorni fanno pensare che la politica si sia sospesa da sola. C’è una crisi senza precedenti e, anziché affrontare i problemi confrontando proposte diverse, se ne fa occasione per arabeschi verbali.

Gli elettori non capiscono. Che cos’è il «nuovo modello di sviluppo» del segretario del Pd Nicola Zingaretti? Che differenza c’è tra lo «sviluppo sostenibile» che Giuseppe Conte ha scelto come vessillo e quello che due anni fa Luigi Di Maio e Matteo Salvini definirono «stella polare della nostra azione»? Che cosa distingue l’autostrada Roma-Latina propugnata ogni giorno in tv da Salvini dalla Roma-Latina che il governatore del Lazio, Zingaretti, sta costruendo?

Anche dopo lo schiaffone di Mattarella i politici continuano a giocare con le parole e delegano a Draghi il compito di governare, mentre i loro tifosi lamentano la democrazia sospesa. Venerdì scorso, uscendo dall’incontro con Draghi, Zingaretti ha detto: «Occorre suscitare una proposta italiana che dia fiducia alle persone. Per raggiungere questo obiettivo bisogna realizzare un nuovo modello di sviluppo rispetto a quello precedente la pandemia, che non riusciva più a creare né giustizia né benessere né crescita né ricchezza».

Se il modello precedente, che è quello attuale, non funziona ne serve uno nuovo. Lo ripetono da decenni. Essendo ormai un popolo di vecchi, la maggioranza degli elettori, quando sentono «nuovo modello di sviluppo» e «sviluppo sostenibile», si sentono giovani ma al tempo stesso prigionieri di un incubo. Andando a memoria, «sviluppo sostenibile» è stata una parola d’ordine del congresso del Pci di Achille Occhetto del marzo 1989 ma anche del congresso del Psi di Bettino Craxi del maggio 1989 e del congresso del Psdi di Antonio Cariglia del marzo 1990, come pure del congresso del Pds di Massimo D’Alema del 1995.

Leggete questa frase: «Dalla soluzione della questione mezzogiorno dipendono il grado e la qualità dello sviluppo dell'intero paese, ma non è possibile affrontare prove così impegnative senza un nuovo modello di sviluppo». Non l’ha detta Zingaretti, non l’ha detta Conte, non l’ha detta Vito Crimi. L’ha detta Nilde Iotti nel gennaio del 1981 in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione del Pci. La si ritrova uguale nel Recovery plan del fu governo Conte. Hanno fermato il tempo. Zingaretti da anni vagheggia un nuovo modello di sviluppo senza dire se implica una trasformazione incisiva del capitalismo. Fa capire solo che sarà una cosa bellissima.

Nel 2009 ha detto che i dipendenti pubblici erano «le risorse fondamentali per un nuovo modello di sviluppo». Nel 2011 ha detto che il rilancio della via Francigena era un punto di svolta verso «un nuovo modello di sviluppo sostenibile» ma anche che «la cultura è uno dei pilastri possibili di un nuovo modello di sviluppo» e che «la scuola è il motore di un nuovo modello di sviluppo». Nel 2013 ha detto che l’Expo 2015 di Milano sarebbe stata «il giro di boa per un nuovo modello di sviluppo» e individuava il nucleo del nuovo nel padiglione di Eataly: «Il vecchio modello di sviluppo è morto e non tornerà».

A otto anni dalla constatazione di decesso Zingaretti si dichiara ancora alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Ma nel frattempo, insieme a tutta la banda, ha impostato come pilastri dello sviluppo sostenibile le Olimpiadi invernali di Cortina, il ponte sullo stretto di Messina e nuove linee ferroviarie ad alta velocità. Almeno quel nemico del popolo di Mario Monti le Olimpiadi di Roma e il ponte li aveva bloccati.

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