Sui diritti destra e sinistra non si somigliano, si distinguono, anzi si definiscono. A testimoniarlo basta la cronaca. Prima la levata di scudi sulla proposta di Enrico Letta di una tassa minima a ricchezze massime per una dote ai giovani. Poi l’attacco al ministro Orlando per come prova a fronteggiare uno sblocco dei licenziamenti che potrebbe lasciare senza protezione oltre mezzo milione di lavoratori e lavoratrici. Attacco amplificato dal megafono sgraziato di Confindustria. Intanto la destra invoca l’appalto sregolato, con rischi di infiltrazioni criminali, sfruttamenti nei subappalti e minori controlli. Nel frattempo continua l’opposizione alla legge Zan.

Sono sfaccettature di diritti, quello dei ragazzi a costruirsi un futuro, della progressività fiscale, del lavoro, della legalità e della sicurezza accanto a un telaio.

È un diritto il contrasto a ogni discriminazione, alla violenza sulle donne. Dovrei aggiungere il vaccino per i paesi poveri, il nodo del gap salariale delle donne o lo ius culturae,  per arrivare a una formazione continua e a una scienza sostenuta e diffusa.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi guida un governo d’eccezione. Continuo a pensare che la sua reputazione sia un punto di forza. Detto ciò non rimuovo che la pandemia insieme a scuola, affetti, redditi, ha compresso la democrazia, svuotando le piazze, aumentando gli invisibili e impedendo il voto.

Questo governo, utile per molte ragioni, è retto da una maggioranza che ha visioni alternative compreso un pezzo di quella destra che sulla frammentazione  e contrapposizione dei diritti poggia la sua ideologia. Ed è questa natura del governo a non consentire una piena saldatura dei diritti che implica un punto di vista esigente e radicale.

Toccherà a una strategia democratica e di sinistra completare quel disegno e potrà farlo sull’onda di un consenso benedetto dalle urne. Prima nel voto delle città, poi nel Paese. Per tagliare il traguardo c’è bisogno di un movimento dal basso.

Ecco perché resto convinta che la funzione del Pd risieda anche in un’idea di autonomia, parola cara alle donne che sanno quanto per fare del bene agli altri devi avere un pensiero, una indipendenza, un  coraggio. Allora fondere i diritti, sociali civili politici, è certo un vasto programma ma è la strada per  un’etica pubblica che condivida davvero responsabilità e beni comuni.

Resta la via per unire le forze, organizzare i conflitti, generare cultura. Infine è l’unica possibilità perché i diritti umani – ombrello  sotto il quale vive ogni altro diritto – non siano sopravanzati da interessi corporativi, un capitalismo rapace,  una miscela che porta guerre, choc ambientali, altre disperazioni. Il dramma di Israele e Palestina riesploderà se la comunità internazionale non saprà promuovere   pari diritti e  cittadinanza a partire dai diseredati. Patrick Zaki e Roman Protasevich ci guardano. Ma ci è voluto il dirottamento di un aereo perché la dittatura di Lukashenko risalisse le gerarchie dell’attenzione. Il Mediterraneo è la prova.

Riuscirà questa Europa del dopo Covid ad agire per l’investimento più prezioso che  rimane la dignità di ogni persona e l’orizzonte della pace? Perché i corpi di creature abbandonate su una spiaggia sono uno scandalo. Nessuno può dire «non so cosa accade in campo libico». Nessuno può ignorare che nell’Europa liberale vivono diseguaglianze indecenti o quale significato abbia  vendere armi a regimi oppressivi, e sanguinari.

A furia di girare la testa altrove, si rischia di perderla lo stesso. Enrico Letta parla di anima e  cacciavite. Lo vivo come l’invito ad indignarsi, ma insieme lottare per cambiare un mondo troppo guasto. Proviamo a farlo prima che sia tardi.

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