Dopo le polemiche sul mancato rifinanziamento del Fondo per i disturbi alimentari, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, nel corso di un question time alla Camera svoltosi nella giornata di ieri, ha annunciato che metterà a disposizione del Fondo stesso 10 milioni di euro per il 2024, con un emendamento al decreto Milleproroghe. Nella stessa sede, il ministro ha dato un’altra notizia, forse ancora più importante. «Con l'entrata in vigore del nuovo nomenclatore tariffario e dell'ulteriore aggiornamento dei Lea sarà garantita finalmente la piena copertura finanziaria in modo strutturale per l'erogazione delle prestazioni a beneficio di tutti i pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare». Serve spiegare come si è arrivati a questa decisione, anche per comprendere quali ne siano le conseguenze e, quindi, il motivo per cui essa è rilevante.

Il Fondo per i disturbi alimentari e i LEA

Il Fondo era stato istituito presso il ministero della Salute nel dicembre 2021, dalla legge di Bilancio per il 2022, con dotazione di 15 milioni di euro per il 2022 e 10 milioni per il 2023. La legge aveva previsto tale Fondo in attesa dell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), e cioè fino a quando «i disturbi della nutrizione e dell'alimentazione (DNA), le cui prestazioni sono inserite attualmente nell'area della salute mentale» dei LEA, non fossero divenuti oggetto di un’area a sé stante. I LEA sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket, con le risorse pubbliche raccolte attraverso le tasse.

L’attribuzione ai DNA di un’autonoma dignità era stata prevista per destinare alla cura di tali disturbi un budget di spesa vincolante, al fine di garantire un’assistenza stabile e omogenea in tutta Italia. Con un’apposita categoria nei LEA, infatti, i DNA acquisirebbero una specifica rilevanza rispetto ai disturbi mentali in generale, nei quali oggi sono indistintamente mescolati, e vi sarebbe una più adeguata definizione delle prestazioni da erogare, nonché delle risorse a ciò necessarie.

L’iniziale retromarcia sui disturbi alimentari

Il 6 dicembre scorso erano emersi dubbi circa la creazione di un’autonoma area dei LEA per i DNA. Il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, in risposta a un’interrogazione riguardante il ritardo nell'inserimento nei LEA delle prestazioni sanitarie inerenti i DNA, ne aveva escluso lo spostamento «dall'area della salute mentale in un’area specifica», dato che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) classifica i DNA nel capitolo «Disturbi mentali».

Si trattava di una giustificazione infondata. Scorporare i DNA dalla salute mentale, all’interno dei LEA, non avrebbe contraddetto la classificazione dell’OMS, ma solo attribuito a tali disturbi un autonomo rilievo, quindi risorse stabilmente dedicate. Risorse per diagnosticare e curare non solo i DNA, ma anche le conseguenze di vario tipo che ne possono derivare, con un trattamento omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Gemmato aveva detto che per chi soffre di tali disturbi sarebbe stata prevista «l’esenzione dalla partecipazione al costo di alcune prestazioni di specialistica ambulatoriale e di laboratorio». Ma tale limitata esenzione sembrava una toppa, e così pure un disegno di legge (ddl) presentato nel settembre scorso che proponeva un fondo annuale per i DNA.

L’incoerenza del governo

Sono state necessarie le proteste di associazioni e privati cittadini per ottenere dal ministro della Salute anche per il 2024 il finanziamento del Fondo per i DNA, con un emendamento al Milleproroghe. Soprattutto, le azioni di pressione messe in atto nei giorni scorsi sono servite a far sì che Schillaci si impegnasse all’inserimento dei DNA nei LEA, con la garanzia di una copertura finanziaria strutturale per l’erogazione delle prestazioni a beneficio di chi ne è affetto.

Intanto, in Commissione Sanità al Senato è iniziato l’esame di un ddl che prevede sanzioni penali per chiunque «determina o rafforza l'altrui proposito di ricorrere a pratiche (…) idonee a procurare l'anoressia o la bulimia». Dunque, l’esecutivo, da un lato, mostra per i disturbi alimentari un’attenzione tale da creare un nuovo reato; dall’altro lato, invece, riesce a trovare i fondi necessari a curarli solo dopo le forti polemiche suscitate. Del resto, da un governo che per qualunque problema ricorre a strumenti penali, più che ad azioni concrete, forse non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso.

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