La guerra in Ucraina ha reso ancora più acuta la dipendenza dal gas del nostro paese. L’aumento dei prezzi e lo stop delle forniture dalla Russia hanno infatti spazzato via l’attenzione al problema, alla malattia, con l’idea che l’unica terapia sia quella di puntare su una maggiore diversificazione degli approvvigionamenti e dei fornitori.

In questi mesi non si è sentita alcuna proposta che puntasse a ridurre in modo strutturale la domanda di gas, fino ad arrivare al nuovo ministro Gilberto Pichetto Fratin che è arrivato a proporre altri quattro rigassificatori – pagati e garantiti da risorse pubbliche – come intervento finalmente risolutore.

È difficile prevedere quando questa crisi terminerà ma la pagheremo cara se non ci prepariamo a uscire da questa situazione. Lasciare famiglie e imprese in balìa di speculazioni internazionali e crisi geopolitiche è irresponsabile in un paese fragile come il nostro e, oltretutto, impegnato a ridurre le emissioni di gas serra causate proprio dall’utilizzo di fonti fossili.

Alternative difficili

Gilberto Pichetto Fratin ministro della transizione ecologica (Agf)

Il governo Meloni finora è andato in perfetta continuità con quelli della scorsa legislatura sul gas, con sconti per i consumatori e accordi internazionali per le forniture. Ma davvero è impossibile fare altro? No, a meno che non si voglia continuare a fare gli interessi di chi vende gas, lo distribuisce, commercializza caldaie e impianti.

Negli altri paesi europei e a Bruxelles si discute animatamente di quando fissare il phase out per l’installazione di caldaie a gas e da tempo non beneficiano più di incentivi. In questi anni sono infatti andate avanti innovazioni tecnologiche tali per cui nel riscaldamento degli edifici si è da tempo superato il modello italiano del metano che ci dà una mano nel quale più di una generazione è cresciuta.

Il problema è che da noi, malgrado la maggiore efficienza e la minore spesa in bolletta, le alternative faticano ad andare avanti. È vero che cresce la diffusione di pompe di calore, di impianti solari fotovoltaici e termici integrati nei sistemi edilizi ma molto lentamente. La ragione è molto semplice, sono leggi e bonus cosiddetti ambientali a rendere ancora conveniente il vecchio sistema.

Una decisione chiara

Di sicuro oggi non esistono più scuse, è infatti possibile accelerare una svolta tecnologica che consente di eliminare l’utilizzo del gas negli edifici e farlo a costo zero già in questa legge di Bilancio in discussione in parlamento.

Un esempio: perché nei tanti bonus in vigore nel nostro paese con detrazioni che variano tra il 50 e il 90 per cento devono essere premiate allo stesso modo le caldaie a gas, inquinanti e climalteranti, e le pompe di calore a emissioni zero?

Prendiamola una decisione chiara, ora che le tecnologie sono mature e visto che abbiamo imprese nazionali che le producono. Stessa cosa vale per gli incentivi a cui possono accedere i Comuni per la riqualificazione degli edifici pubblici, il conto termico che rimborsa fino al 65 per cento della spesa.

Comunità energetiche

Qui si potrebbe anche essere più ambiziosi e coerenti, arrivando a premiare con una aliquota più alta le scuole che vengono trasformate a consumi energetici zero, con autoproduzione dal solare e bollette azzerate per sempre. Sono tante le possibilità di innovazione che creano benefici ambientali ed economici ma che trovano ostacoli normativi.

Un altro esempio sono le gare Consip per il riscaldamento degli edifici pubblici, dove si può migliorare l’efficienza e quindi ridurre i consumi di gas. Ma non si può scegliere di toglierlo del tutto, perchè le pompe di calore non sono considerate tra le ipotesi di intervento. Infine, un intervento sempre a costo zero di modifica e miglioramento del Pnrr su cui l’Europa non avrebbe nulla da ridire.

Una delle missioni del Recovery plan italiano prevede 2,2 miliardi di euro di fondi per il credito a tasso agevolato per le comunità energetiche da realizzare nei comuni sotto i 5mila abitanti. In teoria una bella idea, in pratica sarà impossibile accedere a quelle risorse europee perché in quei comuni non ci sono i consumi e le competenze necessarie per avviare progetti di quell’enorme dimensione entro il 2026.

Ma allora perché non allargare la possibilità di accesso a quelle risorse per tutti gli enti locali, magari supportando la realizzazione di comunità energetiche proprio nelle periferie dove le famiglie faticano a pagare le bollette. Si è tanto ripetuto in questi anni che le crisi non vanno sprecate, quella del gas ci dovrebbe servire ad affrontare la malattia della dipendenza non ad assecondarla. Ne parleremo nel fine settimana a Torino nell’appuntamento organizzato da Domani.

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