Draghi assomiglia sempre di più a un tecnico che osserva preoccupato l’esplosione di un pozzo di petrolio. E mentre osserva, tenta di capire non solo come spegnere l’incendio ma anche come far ripartire il pozzo.

Del resto è un esperto delle crisi di sistema.

Lo è stato ai tempi della presidenza della Banca Centrale Europea, nel 2012,  quando coniò il famoso whatever it takes, tutto ciò che serve.

Ha vissuto da premier una delle fasi più gravose della pandemia, salvando il paese con una formidabile campagna vaccinale. Nel frattempo, si occupava di rimettere l’economia sui binari della crescita e ci stava riuscendo.

Oggi si trova con una crisi internazionale gravissima, davanti a massacri atroci sui civili. Ha avuto la capacità di trovare un nuovo slogan, stavolta non una risposta, ma una domanda retorica: «Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?». È una domanda chiara, cruciale, rivolta a cuochi e operaie.

Draghi è l’erede di scelte altrui che si sono trascinate per un decennio. La dipendenza italiana dal gas russo è andata sempre aumentando soprattutto grazie ai cari vecchi amici di Putin: Berlusconi, la Lega, passando per alcuni esponenti del M5S. L’impennata, come riportato più volte da questo giornale, inizia nel 2012 (governo Monti) e cresce sempre più nonostante la crisi della Crimea, raggiungendo le vette più alte durante il governo Conte I.

Oggi, con una guerra in atto, l’Italia si trova impiccata da questa dipendenza. Draghi ha dovuto strappare la questione dalle mani della politica. Si è imposto su una Lega debole e orfana di Putin, sui Cinque stelle divisi e mascherati da vecchi pacifisti e su Forza Italia che ha interrotto la fase di mutismo selettivo solo due giorni fa.

Lo spietato zar, tra i tanti suoi granchi in questa orrenda invasione, certo non si aspettava che l’Occidente rispondesse così duramente. In particolare non prevedeva la risposta dell’Italia, dopo tanti anni di strette amicizie.

E’ una fortuna che il timone sia ora nelle mani di Draghi, che si dimostra deciso nella sua visione di fronte ai tentennamenti della maggioranza. Soprattutto del suo predecessore, Giuseppe Conte, che se fosse stato ancora presidente del Consiglio ci avrebbe portato fuori dalla regia europea, confuso com’è.

I partiti non hanno la visione politica, o meglio pedagogica, che avevano ai tempi la Dc e il Pci.  Invece di concentrarsi sul problema capitale, il gas e la crisi economica, si preoccupano della legge elettorale.

Ci sono forze politiche che ancora dimostrano di essere al servizio di Putin, che continuano a non esprimersi sulla guerra.

Fanno guerriglia e spostano l’attenzione sul fronte interno della questione fiscale per insidiare il governo. È evidente quindi che Putin tornerà a influenzare la politica italiana.

 «Ogni cuoca dovrebbe imparare a reggere lo Stato».

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