La Repubblica è in festa in un tempo di guerra. Come altre volte (la guerra nell’ex Jugoslavia e in Iraq, la crisi libica e ora la guerra in Ucraina), quando governo e parlamento hanno giustificato il coinvolgimento dell’Italia, in forma diretta e/o con l’invio di armi. Le decisioni sono sempre state molto controverse. Difficile volere la pace da una posizione di non neutralità.

Le istituzioni internazionali, stabilite per favorire la pace, hanno sfidato la promessa di pace contenuta nell’articolo 11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».  

Qui non c’è solo il “ripudio” della guerra, ma il ripudio all’interno di un contesto valoriale che comprende la sicurezza.

Non viene esclusa la guerra difensiva (l’art. 52: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino») e la stessa difesa è un’idea non proprio “chiara e distinta”.

È l’uso totale della forza (quello che ci riporta alla Seconda guerra mondiale) a essere bandito. Ma l’articolo non è altrettanto categorico sugli interventi da valutarsi in base alle norme dettate dal diritto internazionale e delle Nazioni unite, dall’adesione all’Unione europea e alla Nato. 

La Costituzione è stata scritta in un tempo tormentato e aperto a grandi trasformazioni. Vittorio Emanuele Orlando aveva preconizzato il deperimento della sovranità nazionale in un mondo di interazioni strette tra gli stati.

Parlò alla Consulta della «infinita paurosa grandezza storica» di quegli eventi, dei «trenta anni di spaventose guerre e distruzioni» che avevano mutato l’ordine globale e lo «Stato di nazione», il quale «dovrà cedere» la «assolutezza della sovranità» e prepararsi alla «maniera di futura sovranità di Stato [che] sarà limitata da una organizzazione superiore».

Le nostre legittime divergenze in questi mesi di guerra in Ucraina confermano la premonizione di Orlando.

La Repubblica fa un solenne impegno di pace in un ordine globale che non è (ancora?) quello tratteggiato da Immanuel Kant nel 1795: la sua “pace perpetua” non era il sogno di un visionario, ma una speranza morale tradotta in un’ipotesi che, per non avendo una validità di tipo empirico, era non-impossibile come guida a comprendere i fatti e a decidere.

L’idea di un mondo pacifico non può pretendere di trovare giustificazioni razionali. Può solo essere ammessa senza prova. È un’idea regolativa necessaria per avviare relazioni tra i popoli improntate alla pace e alla cooperazione.

Questo è l’impegno della nostra Repubblica. Non il sogno di visionari, ma una ragionevole promessa fatta ai propri cittadini e al mondo.

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