In un articolo uscito su il manifesto il 17 dicembre scorso e che ha aperto un interessante e utilissimo dibattito, Pier Giorgio Ardeni e Stefano Bonaga mettono sotto accusa il depotenziamento della politica nelle democrazie contemporanee, paragonate a una «nave nella nebbia indugia in rada in attesa di vedere avanti». Politica a cui «manca la prospettiva», subordinata com’è alla dittatura del presente; una condizione che la pandemia ha esaperato ma non generato.

«La crisi di potenza della Politica rispetto al suo esercizio ha la forma dell’entropia di un sistema chiuso, che disperde progressivamente le sue energie».

L’impotenza dei cittadini è direttamente proporzionale all’espansione della politica politicata. Ed è una delle ragioni principali della decadenza della rappresentanza democratica: le elezioni sono una delega in bianco che una classe di imprenditori di se stessi usa a sua discrezione, attenta al verdetto dell’audience.

Il circolo chiuso della politica politicata è alla base dello scivolamento delle democrazie verso forme plebiscitarie e populiste che danno a chi sta in platea l’illusione di contare come popolo. 

La politica è arte e intelligenza che trasforma i “fatti” in “problemi” mediante la parole (il discorso pubblico) e l’azione associata di liberi e uguali cittadini – questa è isocrazia, la rivendicazione del fatto che «ugualmente tutti i cittadini dispongono a vario titolo di capacità e potenza di cittadinanza attiva variamente esercitata».

Nelle democrazie rappresentative l’isocrazia può persistere a condizione che si mantenga una comunicazione ininterrotta tra le istituzioni e l’azione informale dei cittadini con l’ausilio di un ampio ventaglio di modi e forme di intervento: i movimenti, una stampa libera e plurale e, soprattutto, i partiti politici organizzati, quel che con un termine un po’ impreciso ma efficace chiamiamo “corpi intermedi”. Se questi ultimi perdono la loro funzione, la voce dei cittadini si fa non soltanto flebile, ma inoltre confusa, spezzata, inefficace.

Senza partiti

Senza partiti politici organizzati (o con soli gruppi parlamentari) quell’ampio ventaglio di interventi di cui le democrazie rappresentative si sono dotate perde di efficacia e, infine, cambia di funzione.

Da agenzie di conoscenza critica che arricchisce la sfera pubblica diventano casse di risonanza di questo o quel leader o gruppo parlamentare, gestori di fini politici spesso reconditi.

Tutto quel che doveva servire a preservare l’isocrazia finisce per agevolare un’oligarchia di eletti e i loro committenti – non il potere dell’eguaglianza politica ma della diseguaglianza.  In questo mondo rovesciato che chiamiamo nonostante tutto democrazia, assistiamo ad una trasformazione della cittadinanza.

I due poteri che la caratterizzano – quello della decisione e quello dell’opinione —sono quelli che, insieme pur se distinti, mettono in moto il «processo di valorizzazione della dignità del cittadino come soggetto della democrazia che lo riscattano dal diffuso ruolo di semplice contribuente e passivo utente di servizi».  Il loro divorzio è alla base dell’atrofia della politica, ridotta ad una funzione spettatoriale.

La debolezza della democrazia dell’audience la si è toccata con mano alle ultime elezioni regionali in Emilia-Romagna e il rischio della vittoria leghista.

Fino a quando non sono scese in campo le Sardine, come spiegano Ardeni e Bonaga. Senza altro fare se non mostrare la potenza della loro presenza, irrefutabile e visibile, i cittadini hanno sopperito alla debolezza dei partiti e col solo numero hanno silenziato la retorica populista e plebiscitaria.

Non siamo solo schede elettorali

Quel movimento dei 6000 (e in effetti molti di più) in Piazza Maggiore, a Bologna, spontaneo e civilissimo, ha detto la cosa più semplice del mondo: la nostra presenza nel pubblico non è un orpello, noi non siamo audience nè siamo solo schede elettorali.

L’agire politico è agire associato, e la subitanea fine del fenomeno delle Sardine ha confermato che è l’assenza del partito politico organizzato il problema alla base dell’atrofia della politica democratica.

Che ci piaccia o no, prendere parte – partecipare—significa occupare uno spazio specifico a partite dal quale si interpretano i problemi e si crea rappresentanza. Stare da una parte, fare partito, è stimolo alla conoscenza delle cose pubbliche, educa al rispetto di chi sta da altre parti, rende consapevoli del fatto che non c’è agire politico – potenza democratica—stando dovunque o in nessun luogo. 

La decadenza della politica isocratica è comprovabile dallo spazio vuoto di parti. Il rischio è che i pochi organizzati occupino tutto lo spazio e facciano dei loro interessi e delle loro mire l’oggetto unico delle istituzioni. Dove finisce l’isocrazia, comincia l’oligarchia. 

© Riproduzione riservata