L'insurrezione jihadista è giunta alle porte di Bamako, la capitale del Mali. La violenza dei gruppi armati islamisti avanza da nord a sud, minacciando la stabilità dell’intero Sahel. La situazione è andata deteriorandosi da quando la giunta militare ha preso il potere nell'agosto 2020. La cacciata del presidente Ibrahim Boubakar Keita era stata giustificata con il fallimento nella lotta al terrorismo.

Il fallimento della giunta

Due anni dopo bisogna tuttavia costatare che i militari hanno fatto peggio, anzi la situazione è andata peggiorando e la minaccia si avvicina alla capitale. L’attacco di luglio al campo militare di Kati, poco distante dalla città a soli dieci chilometri dal palazzo presidenziale, è stato il campanello di allarme più significativo: nella base vive il leader della giunta militare al potere, il colonnello Assimi Goita.

A fine agosto il centro di studi strategici africani di Washington ha rilasciato un allarmante rapporto sulla progressione dei vari movimenti jihadisti, che paiono inarrestabili anche se in lotta fra loro. Si tratta innanzi tutto dello Jnim (Gruppo di difesa dell’islam e dei musulmani) di radice al Qaeda e guidato dal tuareg Iyad Ghali, una vecchia conoscenza già alla testa di precedenti rivolte etnico-religiose.

Alleato allo Jnim, c’è il Fronte di liberazione del Macina (Flm) a maggioranza fulani. Poi c’è lo stato islamico del grande Sahara (Eigs), franchising dell’Isis. Secondo i dati raccolti, la violenza terrorista è peggiorata dopo il colpo di stato militare: i decessi causati dalla violenza nel 2022 hanno già superato quelli degli anni precedenti e si prevede un aumento di quasi il 150 per cento rispetto al 2021. I civili rappresentano la maggior parte delle vittime: nel 2022 i gruppi islamisti hanno ucciso un numero di civili tre volte superiore a quello del 2021.

L’avanzata jihadista

La violenza jihadista continua ad accelerare: tra maggio e agosto 2022 si è registrato il 20 per cento in più di eventi violenti rispetto al periodo gennaio-aprile. Si registra un cambiamento nella diffusione geografica: l’area sottoposta ad attacchi si è notevolmente allargata. Il FLM sta guidando l’espansione jihadista nel Mali centrale e meridionale: tra maggio e agosto ha lanciato nove attacchi nel raggio di 150 km da Bamako.

La sua spinta aggressiva verso sud mette in evidenza la vulnerabilità di Bamako. Il Mali meridionale è la regione più popolosa del Paese, con il 60 per cento degli abitanti, fino ad ora risparmiata da gran parte delle violenze dell'ultimo decennio. Inizialmente si pensava che i jihadisti si sarebbero concentrati sulla regione settentrionale, grazie alla loro alleanza con i movimenti di liberazione dell’Azawad, i secessionisti tuareg.

Con il tempo questi ultimi sono stati ridotti a fantocci da una coalizione trasversale di arabi e tribù nomadi, unita da un’interpretazione fondamentalista della sharia e non interessata alla scissione del paese. Per questo i jihadisti puntano ora verso sud, alla capitale. Più della metà degli attacchi violenti attribuiti ai militanti islamisti del 2022 si sono verificati nel Mali centrale e il ritmo delle violenze si è accelerato tra maggio e agosto, con un aumento di quasi il 50 per cento  rispetto ai primi quattro mesi dell'anno.

Lo snodo urbano di Mopti e Sévaré rappresenta la connessione strategica tra il nord e il sud del Mali: il controllo di quel territorio è vitale per accedere ad altre regioni. Per questo gli attacchi si concentrano contro le infrastrutture più importanti, come l'aeroporto di Mopti che serve da hub logistico per l'esercito e i caschi blu dell’Onu. Il fatto che l'Flm controlli alcune strade principali (come la Route Nationale 16 che collega Sévaré a Gao), ha permesso ai jihadisti di bloccare temporaneamente ogni spostamento verso il nord, com’è accaduto il 3 agosto quando un intero convoglio di 19 tir è astato distrutto vicino alla città di Boni.

Anche il Mali settentrionale ha subito un'escalation di violenza nel corso di quest’anno, per mano dello Stato Islamico del Grande Sahara (Eigs). Dopo la partenza dei francesi e la smobilitazione delle forze del G5 Sahel, il gruppo armato è riuscito ad affermarsi con più violenza. Gli assalti sono aumentati nelle regioni di Gao e Ménaka, causando oltre mille morti (cioè il 40 per cento di tutti i decessi annui della guerra).

Più della metà di queste vittime sono civili massacrati con la tattica del terrore per intimidire la popolazione. A nord l'Eigs ha preso di mira anche postazioni militari, come nel caso dell’attacco alla base militare di Tessit vicino ai confini con il Burkina Faso e il Niger, uccidendo decine di soldati e sequestrando veicoli, armi e munizioni.

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