Il 22 febbraio dello scorso anno, con le «zone rosse» del lodigiano e di Vo’ Euganeo, si inaugurava in Italia, e a catena nel resto d’Europa, la lunga serie di misure eccezionali per il contenimento dell’epidemia di Covid-19 che ha stravolto le nostre vite. Si apriva anche, con ciò, una stagione di relazioni complicate tra politica e scienza, tra deliberazione democratica e sapere esperto.

In Germania, il quotidiano Die Welt ha rivelato il lungo carteggio del marzo 2020 tra il ministro dell’Interno, Horst Seehofer e gli esperti dell’istituto Robert Koch, con cui il primo chiedeva, e otteneva dal secondo, un dossier dai toni forti e allarmistici per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica le disposizioni di restrizione della libertà personale.

Anche in Italia il parere degli esperti ha rappresentato spesso il paravento dietro cui si sono nascoste decisioni politiche impopolari. Più evidente ancora, però, è stato il fenomeno della sovraesposizione mediatica di figure di scienziati ed esperti, che influenzano l’opinione pubblica anche per vie autonome rispetto alla politica, entrando non di rado in conflitto con l’opinione di loro pari nonché, talvolta, con la realtà dei fatti. Il caso più recente è l’allarme sulle varianti del virus tra i ricoverati all’Ospedale Sacco di Milano, lanciato in diretta tv dal primario di Malattie infettive, Massimo Galli, e smentito dallo stesso istituto milanese.

La storia di questo lungo anno di pandemia segnala insomma due pericoli distinti ma in parte convergenti. Uno è quello della scienza piegata a servire gli scopi del potere politico o gli interessi degli attori economici. L’altro è quello della scienza che assume in proprio il potere di condizionare le decisioni, attraverso la personalizzazione del sapere. A questo si aggiunga la polarizzazione del dibattito, alimentata dai media. Se il disaccordo tra scienziati è inevitabile, ed è vitale per il progresso della ricerca, la sua spettacolarizzazione induce nel pubblico confusione, e la fatale sensazione di ricevere, anziché informazioni basate su evidenze, opinioni di parte. Per lo stesso motivo, sollecita dietrologie riguardo agli interessi in gioco.

Che tipo di potere è quello della comunità scientifica? In che rapporto si trova con gli altri poteri democratici? La teoria classica della divisione dei poteri prevede che le funzioni essenziali di uno Stato siano responsabilità di tre organi distinti, capaci di limitarsi reciprocamente.

Nel discorso comune si è poi imposto l’uso di attribuire alla stampa il ruolo di «quarto potere», e alla televisione e a Internet quello di «quinto» e di «sesto». La scienza, nella pandemia, ha conquistato il rango di «settimo potere»?

In realtà, se entra in una contesa di poteri, o se si piega all’influenza altrui, la scienza smarrisce il suo ruolo, che richiede imparzialità e libertà.

La funzione politicamente rilevante, e oggi particolarmente cruciale, di esperti e scienziati, può essere svolta solo dall’esterno del campo di gioco della politica.

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