Immaginatevi la scena: primi giorni di settembre e siete su un’isola nel cuore del Mediterraneo, sulla vostra auto, una robusta e pesante jeep, percorrete una strada lungo la costa e all’improvviso il cielo si scurisce, dal mare arriva un vortice d’aria roteante che, in pochi secondi, toccando terra, estirpa le coltivazioni, porta via i tetti delle case e vi raggiunge; non avete neanche il tempo di capire cosa succede che vi ritrovate in aria, dentro quel ciclone, a roteare come se la vostra auto fosse un coriandolo difronte a un ventilatore, e poi rotolate giù, catapultati a 200 metri da dove vi trovavate, e intorno a voi strade distrutte, pali della luce spezzettati, muretti sventrati, auto accartocciate. Non è la sceneggiatura di un film apocalittico ma è quello che è successo a Pantelleria il 10 settembre di quest’anno. Due morti, nove feriti di cui quattro gravi, il triste bilancio delle vittime.

Altra scena: è caldo e afoso, avete la camicia umida e i pantaloni corti, sono i primi giorni di agosto e vi trovate in una delle città più belle del mondo; siete in una grande piazza, davanti a voi la chiesa dal leone alato, intorno, sotto i portici, i caffè più rinomati dove vorreste prendere qualcosa da bere ma, piano piano, la terra sotto i vostri piedi scompare, i vostri piedi ricoperti di acqua, iniziate a galleggiare dapprima come se la piazza fosse una grande piscina poi come se foste un tutt’uno con il mare. Non siamo ad Hollywood ma a Venezia ed è successo davvero non a novembre, come di consueto, ma l’8 agosto di quest’anno: 1 metro di acqua alta, con quasi il 10 per cento della città immersa.

Invertire la rotta

Potrebbero bastare queste due scene per farci capire la concretezza dei cambiamenti climatici: da anni, coloro che riteniamo essere “professionisti del catastrofismo” ci mettono in guarda raccontandoci di una Sicilia desertica tra meno di dieci anni, di inondazioni che avvolgono le nostre città, di tornado spinti da venti mai visti prima. Stiamo ora scoprendo che queste Cassandre descrivono la realtà e che occorre urgentemente invertire la rotta.

Sul piano nazionale molto si deve ancora fare. Potrebbe essere un inizio smettere di foraggiare con le nostre tasse gli inquinatori. Secondo le stime del ministero della Transizione Ecologica, ogni anno lo Stato eroga quasi 20 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi ovvero incentivi per danneggiare l’ambiente.

Due anni fa il Parlamento decise che andavano eliminati e invitò il governo a procedere: dopo mesi e mesi di discussione e due vaste consultazioni pubbliche, sono state elaborate proposte per rimodularne alcuni. Ma non hanno avuto alcun seguito.

Eppure, quando poi la forza della natura, armata dall’uomo incosciente, uccide e porta distruzione, tutti esprimiamo cordoglio, vicinanza, preoccupazione e siamo pronti a impegnarci per cambiare il sistema. Con questo atteggiamento schizofrenico non si va da nessuna parte. Certo non basta l’azione di un paese per cambiare la situazione, perché occorre agire globalmente.

L’inviato che manca

Nei prossimi giorni l’Italia co-presiederà, con la Gran Bretagna, la Conferenza (la così detta COP) per il contrasto ai cambiamenti climatici (UNFCC), in pratica l’appuntamento più importante al mondo su questo tema. L’Italia è anche il presidente di turno del G20.

A giugno di quest’anno, il ministro degli Esteri Di Maio, che sul tema è particolarmente sensibile, ha inserito in un apposito decreto legge l’istituzione dell’Inviato speciale per il clima, una sorta di super-commissario chiamato a negoziare con i grandi del mondo per adottare insieme azioni concrete contro il climate change.

Per capire l’importanza di questo “Inviato”, basti pensare che John Kerry è l’omologo statunitense.  Dopo 3 mesi dalla norma e a poche settimane dal primo appuntamento della COP, ad oggi l’Italia non ha nominato nessuno. Eppure servirebbe con urgenza una figura autorevole, qualcuno di pratico, non certo l’ennesimo accademico che pensa di poter dare lezioni ma uno con una grande passione per l’argomento, una spiccata sensibilità politica e capacità negoziale, già conosciuto all’estero dai suoi interlocutori internazionali, come l’inglese Alok Sharma, già Ministro e ora Presidente della COP britannica. Ecco, servirebbe qualcuno di empatico che possa raccontare che i cambiamenti climatici non affliggono solo gli atolli caraibici ma Shanghai come Venezia, Delhi come Napoli, Fernando de Noronha come Pantelleria. Non si tratta di essere catastrofisti ma semplicemente realisti.

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