L’estrema destra agisce da estrema destra e revoca il patrocinio al Roma Pride. Lo fa procedendo per dissonanza cognitiva nei confronti dell’ampio elettorato, cioè ripetendo che «sono a favore dei diritti civili» – così dichiara il presidente della Regione Lazio Rocca di Fratelli d’Italia – ma accanendosi proprio su quelli con azioni di rara violenza istituzionale.

La revoca giunge tardiva, dopo le proteste delle associazioni antiabortista e anti-scelta a seguito del comunicato stampa rilasciato questo lunedì dal Roma Pride. Il presidente Rocca non aveva letto per tempo che si trattava di una manifestazione lgbtqia+ che rivendica il diritto ad autodeterminarsi in ogni forma?

Nonostante questo possa apparire un epilogo prevedibile, dovrebbe farci comunque incazzare. Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza istituzionale contro una comunità marginalizzata, quella lgbtqia+; l’Italia è agli ultimi posti tra i paesi europei in materia di diritti lgbt, secondo l’ultimo report Ilga Europe.

A differenza che in passato, la violenza istituzionale viene camuffata attraverso strumenti retorici politicamente corretti come la gestazione per altri, utilizzata come spauracchio per giustificare qualsiasi tipo di azione. Gestazione per altri che riguarda, tra l’altro, soprattutto le coppie eterosessuali: fino a che punto l’elettorato etero riesce a dimenticare che si sta parlando di loro mentre si attaccano “gli altri”?

Ma non era da una regione di questo segno politico che bisognava aspettarsi un patrocinio. Il Pride ricorda i moti di Stonewall del 1969 che certamente di patrocini istituzionali non ne avevano. Le istituzioni, allora, erano quelle che criminalizzavano e patologizzavano le persone queer. Quella notte del ’69 non era la prima volta che la polizia faceva irruzione dentro il ‘gay’ bar dello Stonewall Inn: la polizia si presentava spesso e arrestava e picchiava le persone all’interno con la scusa del reato di adescamento, tra gli altri. Ma quella notte la misura fu colma, e guidati da Marsha Johnson, Sylvia Rivera e Stormé DeLarverie la comunità queer insorse.

I moti durarono circa una settimana. Ogni sera arrivavano persone da ogni parte per unirsi a quel gruppo resistente che era stanco di subire – vale la pena ricordarlo – violenza anzitutto istituzionale. Da una parte la polizia in tenuta antisommossa, dall’altra parte persone con nient’altro che i loro corpi e oggetti qualunque. Si racconta che, per farsi coraggio durante gli attacchi violenti, le drag queen cantassero e ballassero. Per questo le manifestazioni del Pride hanno la forma che, sebbene in accezioni diverse, vediamo oggi.

Non serve il patrocinio delle istituzioni per riappropriarsi degli spazi del potere centrale della città per rivendicare il nostro diritto ad esistere. Sebbene questa forse sia l’occasione giusta perché anche chi si sente lontana da questi temi, o chi fino ad oggi ha potuto pensare che essere accomodanti con gli intolleranti poteva essere una soluzione accettabile, apra forse gli occhi: è nostro diritto esistere e il nostro stato e le nostre istituzioni dovrebbero tutelarlo questo diritto.

Questo 10 giugno se l’estrema destra agisce da estrema destra, ci si augura che chi dissente lo faccia con lucidità e convinzione: senza accomodarsi su ragionamenti conniventi e ricordando perché siamo in strada a occupare lo spazio pubblico. E possibilmente ricordandoci chi ha camminato al nostro fianco. 

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