Nel clima di cordiale trasversalità del Meeting di Rimini, nessuno ha reagito alle parole del segretario del Partito democratico Enrico Letta che ha auspicato di avere Mario Draghi come presidente del Consiglio “almeno” fino alla scadenza naturale della legislatura del 2023.

Le implicazioni di quell’ “almeno” sono rilevanti. Primo: il Pd non vuole indicare Draghi al Quirinale a inizio 2022, perché lo preferisce a palazzo Chigi. Secondo: il Pd vorrebbe Draghi alla guida del governo anche dopo le elezioni politiche. E questo significa andare dagli elettori e dire che nessuno dei tanti leader del Pd, neppure il suo segretario, ambisce a fare il presidente del Consiglio ma che l’unico nome sul quale il Pd scommette è quello scelto da Sergio Mattarella come risposta a una situazione bloccata che è dunque ancora priva di sbocchi, almeno sul centrosinistra.

Prendiamo sul serio questo schema, con i suoi pro e contro. Esiste un possibile presidente della Repubblica più autorevole e di garanzia di Draghi? Difficile, visto che oggi gode di una legittimità trasversale a tutti i partiti (perfino l’unica leader di opposizione, Giorgia Meloni, usa parole di rispetto e stima verso il premier). Forse allora quello che interessa al Pd è soltanto prolungare la durata della legislatura, per evitare che decine di parlamentari perdano il posto causa rapporti di forza tra correnti e taglio delle poltrone dovuto al referendum 2020.

Draghi, inoltre, sarebbe un presidente della Repubblica completamente autonomo dal Pd, non dovrebbe il posto a nessuno dei tanti aspiranti registi dell’elezione. Meglio quindi qualcuno di meno autorevole, scelto comunque insieme a centrodestra e Cinque stelle, ma un po’ più controllabile, ammesso che il piano del Pd non sia mettere Mattarella in condizione di smentirsi e accettare una proroga.

Veniamo alle elezioni 2023: il centrodestra è favorito, Draghi al Colle sarebbe la garanzia che la credibilità dell’Italia di fronte all’Europa che deve erogare i fondi del Pnrr sarebbe salva anche con Matteo Salvini e Giorgia Meloni al potere da soli.

Nello schema delineato da Letta, invece, Salvini e Meloni vincono le elezioni e poi si accordano di nuovo con il Pd per tenere ancora Draghi a palazzo Chigi? E perché dovrebbero fare una cosa così assurda, se possono comandare da soli?

Una maggioranza sovranista non avrebbe alcun bisogno di Draghi a palazzo Chigi, che dovrebbe così andare in pensione, visto che il Colle sarebbe occupato da qualcun altro (per poco, in caso di Mattarella bis, per sette anni con un presidente nuovo). Un bel risultato per la strategia del Pd: le destre al potere senza argini e Draghi a fare da spettatore.

Inoltre, se il Pd di Letta indicasse Draghi come candidato premier darebbe ai suoi elettori il messaggio di aver rinunciato a ogni ambizione per il centrosinistra formato con i Cinque stelle e di preferire, di fatto, governare in modo stabile con la Lega di Salvini invece che avere il coraggio di costruire strade autonome e alternative. Forse nessuno ha commentato quell’ “almeno” di Enrico Letta perché tutti sono preoccupati dalle sue conseguenze.

© Riproduzione riservata