Lo spazio attrae l’opinione pubblica italiana, sempre appassionata di scienza, astronauti e tecnologia. L’ho potuto verificare in mille occasioni quando ero presidente dell’Asi, l'Agenzia spaziale italiane. Il ministero che vigila sull’Asi è il ministero della Ricerca, che dedica all’ agenzia ogni anno quasi un terzo del finanziamento destinato agli enti pubblici di ricerca.

Ma queste risorse non sono sufficienti per affrontare gli impegni internazionali legati ai programmi gestiti dall’ Esa e quindi ogni tre anni il governo è chiamato a trovare  risorse addizionali che portano di fatto al raddoppio del bilancio dell’ Asi.

All’origine dello spazio 

L’intraprendenza del generale Broglio e i suoi stretti legami con gli Stati Uniti, portarono negli anni Sessanta alla realizzazione del progetto San Marco permettendo all’Italia di essere il terzo paese, dopo le due superpotenze, Unione sovietica  e Stati Uniti, a lanciare  e operare in modo autonomo satelliti spaziali, dalla base di Malindi in Kenya.

L’Italia ha spesso operato con un piede  in Europa e uno negli Stati Uniti, sia per le indubbie opportunità fornite dalle collaborazione con la Nasa, ma anche come contrappeso quando l’inserimento nel concerto dei due i grandi paesi dello spazio europeo, Francia e Germania risultava insoddisfacente.

L’ Italia ha  dato un  contributo decisivo alla creazione dell’ Esa (Agenzia spaziale europea), portando a compimento la visione di Edoardo Amaldi che vedeva nella “politica della scienza” uno degli elementi fondamentali della collaborazione internazionale.

In seguito ha purtroppo perso l’occasione del grande lanciatore in grado di garantire all’Europa l’accesso autonomo allo spazio: in questo caso fu la Francia che riuscì ad imporre agli inizi degli anni Settanta il progetto Ariane, il lanciatore su cui si è  basato lo sviluppo di una parte importante dell’ industria aerospaziale europea con la franco-tedesca Airbus.

Il piccolo lanciatore italiano,  fortemente voluto da Antonio Fabrizi, il versatile Vega realizzato da Avio, è arrivato solo molto dopo, agli inizi degli anni 2000. 

LaPresse

Lo spazio non si fa senza industria. Nel caso dell’industria spaziale ci si deve basare su un’industria pesante ma allo stesso tempo altamente specializzata, per mantenere la quale sono necessari  programmi di enormi dimensioni. 

La scommessa dell'Asi

Una buona parte dell’ industria nazionale, l’allora Alenia, poi diventata Thales Alenia Spazio, si è sviluppata nel contesto della realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), progetto a cui l’ Italia aderì investendo ingenti risorse, sia attraverso l’Esa, sia autonomamente attraverso un rapporto bilaterale con gli Stati Uniti. L’Asi si indebitò, in quella occasione, per più di 800 miliardi di lire. Ma fu una scelta visionaria perchè permise lo  sviluppo di tecnologie per le grandi infrastrutture spaziali che resero famosa l’Alenia.

Peccato che l’altalenare della politica industriale italiana abbia poi portato alla cessione di due terzi dell’ Alenia ai francesi di Thales in cambio dell’ acquisto di  due terzi della parte francese delle telecomunicazioni, affidata all’ italiana Telespazio. Fu creata la Space Alliance tra Finmeccanica, oggi Leonardo, e Thales: guardando lo sviluppo dei fatturati delle due parti dell’ Alliance fino ai giorni nostri,  non fu proprio un grande affare se non altro perché portò all’ uscita dell’ Italia dal settore dei grandi satelliti per le telecomunicazioni.

Nonostante tutto, il paese ha continuato negli anni ad investire. Ma periodicamente il nostro paese sembra  perdere la bussola nel settore spaziale.

L'impatto della politica

L’Agenzia Spaziale è l’unico ente di ricerca italiano, che sia stato commissariato ben sette volte, praticamente a ogni cambio di coalizione di governo.

Alla fine dell’ ultima legislatura, sulla base della positiva esperienza della cabina di regia sullo spazio sperimentata nel  periodo 2014-2018,  era stata approvata la legge di riforma degli assetti decisionali sullo spazio. 

Nel luglio 2018, in fase di prima attuazione, un emendamento della Lega  ha radicalmente cambiato l’impostazione della legge, relegando l’Asi a un ruolo secondario per poi commissariarla alla fine dello stesso anno. Nel 2020 l’Asi ha avuto il bilancio più basso degli ultimo quinquennio, sufficiente giusto a pagare il crescente contributo all’ Esa e le spese di funzionamento. 

Queste decisioni hanno conseguenze pesanti a livello europeo. Cosa significhi sottovalutare il lavoro di tessitura di rapporti e la dimestichezza con l’ambiente delle relazioni internazionali che ruotano intorno allo spazio lo si è visto anche nella recente corsa, perduta dal nostro paese, per la direzione generale dell’Esa, quando si è erroneamente ritenuto che il fatto di avere investito una grande quantità di denaro durante l’ultimo Consiglio ministeriale valesse il  diritto di potere esprimere un direttore generale scelto dall’Italia a prescindere dai profili dei competitori e dalle complesse dinamiche che i diversi paesi esprimevano nei confronti dei candidati. 

Il risultato è che ci siamo trovati tagliati fuori dal ristretto gruppo dei paesi che contano nello spazio europeo, ancora riservato di fatto a Francia e Germania, pur avendo raddoppiato il contributo all’ Esa, di cui siamo fondatori e terzi contributori.

Tutto ciò è avvenuto nonostante fossimo a priori favoriti anche dal fatto  che Francia e Germania abbiano guidato l’Esa negli ultimi 20 anni e che quindi sembrasse maturo il subentro di una direzione italiana.  La scelta del nuovo direttore, l’austriaco Aschbacher è stata fortemente sostenuta dalla Germania mentre è francese il potente commissario Thierry Breton Ue che guida lo spazio europeo.  Dovremo pazientare almeno un giro, essendo ora tutte le posizioni di vertice  dello spazio europeo bloccate per i prossimi anni.

Space diplomacy

In un mondo globale in cui i rapporti di forza cambiano rapidamente e in cui occorre avere le idee chiare su quali siano gli obiettivi strategici del paese per perseguirli con coerenza sui tempi lunghi, la space diplomacy permette di creare e rafforzare i rapporti con tutti i paesi verso cui l’Italia ha interessi commerciali e strategici.

Negli ultimi anni l’Italia ha attivato importanti programmi   spaziali con Cina e Russia, per poi chiuderli sotto la pressione  dell’ amministrazione Trump in favore di Artemis, il programma lunare della Nasa. Siamo stati l’unico  fra i grandi paesi dell’ Esa a precipitarci senza attendere gli altri in questa direzione,  attratti dalla prospettiva di  contratti industriali al traino dell’ industria americana.

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Sarà necessario capire quali saranno le nuove prospettive con l’ amministrazione Biden, ma vi sono fondati timori  che Artemis venga rinviato a tempi migliori. Nel frattempo, l’Europa  ha siglato un grande accordo con la Cina,  fortemente voluto da Francia e Germania,  mentre  l’ Italia che aveva fatto del rapporto con la Cina un suo cavallo di battaglia, nello spazio e non solo,  ha avuto un ruolo di secondo piano.

Sarà  comunque ancora una volta  l’Europa, nonostante tutto, il  riferimento che permetterà all’ Italia dello spazio di andare avanti. Gli investimenti fatti in Esa ritornano in Italia attraverso commesse industriali collegate ai progetti realizzati assieme agli altri paesi del vecchio continente. Così come accade, anche se con modalità diverse, alle commesse europee per i programmi Galileo e Copernicus.

E’ uno scenario già visto, quello dell’Italia che funziona grazie alle istituzioni europee di cui è stata fondatrice, a cui contribuisce economicamente in maniera sostanziale,  ma di cui raramente riesce a prendere la guida.

Consoliamoci con il fatto che i satelliti non hanno frontiere e i ritorni degli investimenti europei potranno stimolare anche in Italia iniziative che puntano a cogliere i benefici della space economy. Ma non potremmo essere un po’ più ambiziosi?

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