Da giorni si discute su siti e social di un fattoide, cioè di una specie di notizia che è un po’ vera e un po’ falsa, ma rilevante a sufficienza da innescare prese di posizione e commenti: la crisi del liceo classico.

Massimo Gramellini sul Corriere della Sera si è prodotto nel più classico degli argomenti di questo dibattito: «Il classico è come una cyclette: mentre la usi, fai fatica e ti sembra che non porti da nessuna parte. Ma quando scendi, scopri che ti ha fornito i muscoli per andare ovunque».

Lo spunto per queste riflessioni è la diffusione dei dati del ministero dell’Istruzione sulle iscrizioni degli studenti alle scuole di secondo grado.

Nel 2021/2022 erano il 6,5 per cento del totale, l’anno dopo il 6,2 per cento e nel 2023/2024 saranno il 5,8 per cento. Se consideriamo questo trend un declino del liceo classico, dobbiamo preoccuparcene?

 La tesi dei difensori del classico è che quel tipo di liceo metta in condizione di affrontare meglio la vita, prima l’università e poi il lavoro.

L’onere della prova starebbe a chi fa queste affermazioni. Ma poiché di solito i propugnatori di questa tesi hanno fatto il classico, argomentano con molte parole e pochi numeri.

Un approccio più scientifico richiede di vedere che dati disponibili ci sono, formulare una ipotesi e cercare di vedere se i numeri la confermano o la smentiscono.

Almalaurea descrive ogni anno il profilo dei laureati (biennali): gran parte di questi ha studiato in un liceo (74,8 per cento, nel 2021). Quelli che hanno fatto il classico sono il 14,2 per cento, il 43,4 ha fatto lo scientifico.

Poiché la percentuale di chi si iscrive al classico è del 6 per cento circa sul totale degli studenti, verrebbe da dire che il classico aiuta a laurearsi, visto che la quota dei “classici” tra i laureati è più del doppio.

Ma non tutti gli iscritti agli istituti superiori va poi all’università, ma soltanto un sotto insieme, dunque è inevitabile che i “classici” siano sovrappresentati tra i laureati visto che è più probabile che all’università vada un liceale rispetto allo studente di una scuola professionale.

Dunque, è più utile restringere l’analisi al solo insieme dei laureati. Se fosse vera la tesi che il classico “apre la mente” più di altri istituti e permette di affrontare con uguale preparazione e consapevolezza ogni genere di facoltà, dovremmo aspettarci di trovare circa la stessa percentuale di laureati con una maturità classica in quasi ogni indirizzo di laurea.

Per stare ai dati del 2021, dovremmo quindi trovare una quota di laureati con formazione classica intorno al 14 per cento tanto tra i laureati in materie scientifiche che in materie umanistiche.

Non è così: i laureati con maturità classica erano il 14,2 per cento nel 2021, ma soltanto il 9,9 tra quelli in economia (laurea biennale) e il 6,6 per cento in ingegneria (biennale), contro il 40,8 tra i laureati a ciclo unico di indirizzo giuridico.

Gli studenti provenienti da un liceo scientifico sono il 43,8 per cento dei laureati 2021. Sono leggermente sottorappresentati a economia (40,2) che è una facoltà che attira anche molti studenti usciti da istituti tecnici (18 per cento dei laureati ma quasi il 32 per cento dei laureati in economia).

Medicina è un caso particolare: gli studenti laureati che hanno una maturità classica sono effettivamente sovrappresentati, perché sono 27,6 per cento tra i medici contro la media generale del 14,2 dei laureati “classici”. Ma gli studenti dello scientifico sono ancora più sovrarppresentati, 64,6 per cento contro il 43,4 dei laureati “scientifici”.

Il tasso di sovrarappresentazione degli “scientifici” è doppio rispetto ai “classici”.

Non sembra esserci evidenza di alcuna “superiorità” del classico, il liceo scientifico pare invece mettere in condizioni migliori di affrontare le università di tipo scientifico, se assumiamo che uno studente scelga un indirizzo coerente con i propri interessi ma anche con le proprie capacità. I laureati classici si sentono più pronti ad affrontare Legge, ma non le facoltà scientifiche.

Dunque, il calo di studenti iscritti al classico è una buona o cattiva notizia?

Dipende che società abbiamo in mente, se consideriamo auspicabile o almeno legittima una filiera che porta da un liceo impegnativo a una facoltà umanistica a un futuro professionale incerto (perché il lavoro non è tutto) o se preferiamo un percorso più lineare che, fin dalle scelte precoci contempla tra i parametri di valutazione anche le prospettive formative e professionali future.

Di sicuro i difensori del classico dovrebbero portare qualche argomento più concreto per invertire la tendenza.

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