Il piano da oltre 200 miliardi dovrebbe servire a costruire il futuro della prossima generazione, ma i partiti hanno in testa prima di tutto quella attuale che vota. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) conta 319 pagine tanto dense quanto vaghe, ma l’unica cosa che sembra interessare oggi ai partiti della maggioranza è l’Ecobonus, cioè la detrazione del 110 per cento per i lavori edilizi che migliorano la sostenibilità ambientale degli edifici.

«Il superbonus 110 per cento è una misura fondamentale per consentire non solo di salvaguardare il nostro Pianeta e abbattere in modo significativo le emissioni, ma anche per permettere a milioni di famiglie di risparmiare sui costi dell’energia e di rendere più sicure le proprie case sul piano antisismico», così parla Giuseppe Conte in una nota, forse la sua prima dichiarazione di merito da leader in pectore del Movimento Cinque stelle. «La misura del superbonus va prorogata fino al 2023 e, anzi, dobbiamo intervenire per renderla ancora più semplificata». Seguono pesi massimi di tutti gli schieramenti, da Nicola Zingaretti del Pd ad Antonio Tajani di Forza Italia. Il premier Mario Draghi deve addirittura spostare il Consiglio dei ministri al pomeriggio per gestire il malumore dei partiti.

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, forse per non lasciare tutta la scena a Conte, si premura di osservare che, in effetti, l’Ecobonus nel Pnrr c’è eccome: vale ben 10,26 miliardi. Che si aggiungono ai 12 miliardi stimati in origine dal decreto rilancio del 2020 che ha introdotto la misura.

Buone intenzioni, cattivi risultati

Sulla carta sembra una buona idea: chi non è d’accordo a rendere più ecologici gli edifici di mezza Italia? La misura però è costruita in modo da favorire «comportamenti speculativi o elusivi», come ha denunciato – senza esito – il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro, cioè il controllore indipendente dei conti pubblici. Questo un esempio di come l’Ecobunus incentiva all’imbroglio: «Nel caso, ad esempio, di imprese che forniscano sia lavori di riqualificazione energetica che di ristrutturazione al medesimo cliente, potrebbe convenire alle parti sovrastimare il costo dei primi, al fine di finanziare con l’agevolazione anche i secondi. L’effettiva destinazione delle risorse pubbliche alle finalità previste dalla norma sarà quindi rimessa all’efficacia dei presidi antielusivi previsti».

Il problema principale, però, è che mentre l’impatto verde è tutto da dimostrare, l’Ecobonus è sicuramente una misura che peggiora la disuguaglianza tra generazioni, perché prende soldi dai più giovani (facendo aumentare il debito) e li redistribuisce ai loro genitori. Anzi, alla quota più ricca dei loro genitori.

Perché le agevolazioni per l’edilizia in Italia sono una misura da sceriffo di Nottingham, invece da Robin Hood. La proprietà immobiliare è concentrata, ovviamente, tra i contribuenti più benestanti: più del 90 per cento degli italiani con redditi superiori ai 75mila euro è proprietario di immobili, contro il 46 per cento tra quelli che non arrivano a 10.000 di reddito annuo. Inoltre, le agevolazioni sono preziose per chi ha molta capacità fiscale, cioè paga molte tasse che possono quindi essere ridotte dalla detrazione. Risultato: l’1,1 per cento dei contribuenti più ricchi beneficia del 10 per cento delle detrazioni. Se allarghiamo lo sguardo, il 15 per cento più ricco si prende oltre il 50 per cento della torta fiscale.

Quindi già è discutibile finanziare queste detrazioni con le tasse di tutti i contribuenti, ma è proprio bizzarro che vegano incluse in misure etichettate come a beneficio della “next generation”. E invece sembra l’unica misura capace di scuotere i partiti dal loro torpore sul dossier: anche se il piano prevede riforme profonde un po’ di tutto, dalla scuola alla pubblica amministrazione al lavoro, non si percepisce alcun dibattito interno alle varie forze politiche su questi temi.

Resta, come si diceva ai tempi della prima Repubblica, soltanto l’assalto alla diligenza: si parte con l’Ecobonus, poi c’è un intero fondo parallelo al Pnrr da ben 30 miliardi per tutte le opere che non rispettano i parametri fissati da Bruxelles e dunque non sono soggette al negoziato della Commissione (vedi l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria). In tanti già si fregano le mani pregustando le somme da maneggiare.

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